Saras Metano Arborea, Confindustria e Comitato no al Progetto Eleonora

Metano ad Arborea: Confindustria dice sì, il Comitato risponde ancora no

Confronto a distanza. Il Comitato civico "No al Progetto Eleonora" replica così: "Il futuro di Arborea lo decideranno i suoi abitanti"

Pozzo estrazione gas

La Confidnustria sarda ha acquistato nei giorni scorsi due pagine sui prinicpali quotidiani sardi per rilanciare il tema del costo dell’energia nell’Isola e le problematiche ad essa legate. Seppure senza un riferimento diretto, però, a Oristano l’iniziativa è stata giudicata come  un aperto sostegno al progetto della Saras che ad Arborea ha deciso  di realizzare un pozzo esplorativo per l’estrazione del gas metano, in un’area poco distante dallo stagno di S’Ena Arrubia. Da qui la presa di posizione del Comitato civico “No al progetto Eleonora”, che si oppone all’iniziativa della Saras e che ha diffuso una nota di risposta alla Confindustria.  La pubblichiamo di seguito.

“Sabato 23 marzo Confindustria Sardegna ha acquistato due pagine sui principali quotidiani sardi per pubblicare un comunicato con l’esplicito obbiettivo di appoggiare il progetto di trivellazione del territorio di Arborea di Saras S.p.A.

Di fronte alla contrarietà che si allarga senza confini geografici, culturali, professionali e politici al Progetto di trivellazione della Saras, la Casa madre degli investitori industriali è consapevole della debolezza delle proprie ragioni, e decide dunque di aprire una potente campagna per arginare il fronte del NO che rischia seriamente di contagiare il Palazzo regionale, luogo deputato a decidere la fattibilità o meno del pozzo progetto.

Non potendo apertamente spingere l’acceleratore sul tema centrale – troppo impopolare parlare schietti di trivellazioni – la Confindustria confeziona un appello a tutto. La Sardegna soffre per i costi dell’energia. Giusto. Ma nell’isola si produce energia più di quanta se ne consumi, e a fronte di questo i costi continuano a essere insostenibili. In un regime davvero concorrenziale, se l’offerta supera la domanda si agisce sulla riduzione del prezzo per agevolare il punto di equilibrio del mercato.

Ma in Sardegna esiste una società che si chiama Sarlux ed è direttamente controllata dalla Saras – per dirla tutta lo stabilimento Sarlux si trova all’interno della raffineria di Sarroch – che agisce al di sopra del libero mercato nella fornitura e gestione dell’energia, detenendo la priorità di vendita dell’energia prodotta e usufruendo degli incentivi Cip6 per l’utilizzo di fonti assimilate alle rinnovabili, pur trattandosi di scarti della raffinazione del petrolio. La Sarlux opera dunque in un regime di quasi-monopolio, costringendo i sardi ad acquistare e utilizzare la sua energia, che può essere immessa nel mercato in qualsiasi momento, ad un prezzo ampiamente superiore a quello di mercato.

Confindustria invita poi a sviluppare le infrastrutture “tenendo conto dei cambiamenti in atto” tra cui la “riduzione della domanda”: cioè sarebbe come auspicare uno sviluppo della rete stradale “tenendo conto della riduzione del traffico”.

Non dice però il comunicato di Confindustria che è proprio il sistema industriale a consumare la maggior parte dell’energia prodotta in Sardegna – il 48%, contro un misero 2% di consumi delle imprese agricole – e che proprio quelle industrie che sono state impiantate in Sardegna dagli anni ’60 ad oggi sono causa di quella crisi strutturale che viviamo ancora oggi, sia dal punto di vista occupazionale che dal punto di vista ambientale ed energetico. Perché non dire, ad esempio, che con la chiusura dell’ALCOA il fabbisogno energetico dell’isola è calato del 20%? Forse non conviene far filtrare queste notizie all’associazione degli industriali? Forse è dura ammettere che quel modello di sviluppo industriale da loro sponsorizzato si è rivelato totalmente fallimentare?

Nelle righe successive si arriva al cuore del messaggio: si auspica “lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo su base regionale” “per ridurre i prezzi per imprese e cittadini”. Al punto successivo, ci si affretta a sottolineare l’esigenza di un equilibrato utilizzo delle fonti rinnovabili per “ridurre la nostra dipendenza energetica” e per questo si dovrebbe dare “un deciso impulso al loro sfruttamento”.

Insomma sfruttamento a 360°, che si tratti di rinnovabili o fossili il messaggio pare essere che esiste un’isola da mungere, in una meravigliosa miscela di sole e metano, vento e idrocarburi.

Ci opponiamo a una visione che sostenga la produzione energetica a prescindere dai costi ambientali, specie quelli che andrebbero a debito delle future generazioni. Questo l’hanno capito tutti, per fortuna.

La sindrome NIMBY non ha niente a che vedere con la battaglia che da 18 mesi portiamo avanti. Piuttosto sono i dirigenti di Confindustria Sardegna – di cui Saras S.p.A. è la principale associata – ad essere colpiti da sindrome PIBBY: Put In Blacks’ Back Yard (Mettilo nel giardino del nero). Ovvero quella tendenza per cui tutti progetti di dubbio impatto ambientale ed economico devono essere sviluppati nei quartieri neri delle città e, in questo specifico caso, in Sardegna, che altro non è che il quartiere nero dell’Italia.

Lo dimostrano anche le dichiarazioni del Presidente di Confindustria Alberto Scanu, il quale auspica l’utilizzo in Sardegna della tecnica estrattiva del fracking, tralasciando totalmente gli enormi costi ambientali, sanitari e sociali che l’utilizzo del fracking ha comportato e ancora comporta in diverse parti del mondo.

Non ci faremo imporre nessun modello di sviluppo che sia in competizione con quello già esistente nel nostro territorio. Non siamo contrari al progresso, siamo contrari all’imposizione di un modello di progresso che si è già rivelato fallimentare e adatto soltanto a soddisfare gli interessi di industriali che hanno fatto fortuna grazie a corposi finanziamenti pubblici.

Il futuro di Arborea lo decideranno i suoi abitanti, non Confindustria Sardegna”.

Comitato Civico “No al Progetto Eleonora”

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