La garante dei detenuti scrive al presidente della Repubblica: "Cure adatte per i malati psichiatrici" - LinkOristano
Carcere

La garante dei detenuti scrive al presidente della Repubblica: “Cure adatte per i malati psichiatrici”

Irene Testa ha raccolto alcune testimonianze che arrivano dagli istituti di pena dell'isola.  Il sostegno dell'associazione Sdr

Irene Testa
Irene Testa

Oristano

Irene Testa ha raccolto alcune testimonianze che arrivano dagli istituti dell’isola.  Il sostegno dell’associazione Sdr

Più attenzioni per i malati psichiatrici nelle carceri dell’isola. È la richiesta avanzata dalla garante delle persone private della libertà della Sardegna Irene Testa, che ha scritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ha lanciato un appello.

Di seguito la nota firmata da Irene Testa.

Illustre presidente,

chi Le scrive è la garante delle persone private della libertà della Regione Sardegna. Scrivo a Lei in quanto garante dei principi costituzionali, in particolare del rispetto della dignità umana che passa anche attraverso il diritto alla salute di tutti i cittadini, anche dei cittadini che hanno sbagliato. Non appena insediata, dal mese di febbraio di quest’anno, ho condotto visite in tutte le carceri dell’Isola e in questi giorni ho concluso il primo giro con la visita nel carcere di Uta a Cagliari, avvenuto poche ore fa.

Il bagaglio di conoscenza e di esperienza di questi pochi mesi, che mi porto appresso, è molto difficile da trasmettere: quanto hanno visto i miei occhi e udito le mie orecchie mi risulta difficile da descrivere. Ma so che è mio preciso dovere provare a farlo, anche se questo dovesse suscitarLe orrore, cosa per cui mi scuso in anticipo ma che ritengo in un certo modo necessaria.

Oggi, ad esempio, ho incontrato, nella sezione transito nel carcere di Uta a Cagliari, un detenuto di soli 18 anni, con problemi psichiatrici, che è stato arrestato perché schiaffeggiava le signore sull’autobus e alcune volte è stato sorpreso a mettere le mani nelle borsette. Con lui non si riesce a parlare – non la sottoscritta, ma neanche gli operatori – e questo rende difficile persino individuare la patologia da cui è affetto.

Ho poi incontrato Claudio, affetto da infermità mentale media, che entra ed esce di continuo dal carcere, dove dà sfogo alle sue frenesie allagando la cella e i corridoi della sezione con acqua e litigando con il detenuto della cella vicina, anche lui, a sua volta, soggetto psichiatrico. Non sono i soli con problemi psichiatrici più o meno gravi: urlano, scagliano liquidi, bevande, alimenti, rompono i materassi e gli arredi. Inutili risultano in questi casi i vari Consigli di disciplina e le relative sanzioni disciplinari, perché molti di questi soggetti non ne comprendono il significato. E a dire il vero non lo comprendo neppure io: come si può pensare di trattare un malato psichiatrico secondo le misure di convivenza forzata, disciplina e sicurezza di un carcere?

Come possiamo pretendere che la cura adatta a questi malati possa avvenire rinchiusi in celle, dove al limite, per limitare i danni che possono infliggere a se stessi e agli altri, vengono loro sottratti arredi e materassi? Aggiungo, quindi: come possiamo pensare di lasciare soli gli operatori e i direttori a gestire situazioni fino a tal punto deliranti, privi di strumenti idonei?

Nel carcere di Bancali, a Sassari, che ho visitato recentemente, la situazione forse è ancora peggiore. Un detenuto malato psichiatrico aveva lanciato nel corridoio un panino farcito con i suoi escrementi. Un altro, dopo essersi strappato un’unghia dal piede, la esibiva come un trofeo, nella sua cella sporca di sangue. Un detenuto fissava il muro da settimane, un altro sosteneva di aver fatto rivoluzionarie scoperte archeologiche e protestava perché nessuno gli crede.

Le celle dove sono rinchiusi questi malati sono sporche, le pareti variamente imbrattate. Questo non per incuranza degli operatori o perché non vengono effettuati i giusti sopralluoghi. No. Semplicemente perché ci sono malati con forme gravissime che non dovrebbero stare lì.

Purtroppo, il problema dei malati psichiatrici nelle carceri non è un problema che riguarda solo territorio della Sardegna: è diffuso in tutti gli istituti della penisola, ma capita anche che detenuti da altre regioni vengano spostati come pacchi postali nelle carceri sarde per l’osservazione psichiatrica.

Al riguardo, gli unici dati che si riescono ad avere sono quelli delle associazioni che a vario titolo si occupano di carcere. Emerge che: nei 109 istituti di pena italiani, circa il 70% dei ristretti è affetto almeno da una condizione patologica, di cui per il 41% si tratta di una patologia psichiatrica. Mentre oltre il 50% dei detenuti assumono psicofarmaci. In assenza di dati ufficiali, che qualora esistessero non sono comunque svelati, signor presidente, non si tratta quindi certo di un fenomeno circoscritto, ma il numero dei malati in carcere è davvero impressionante. Come si risponde a tutto questo?

Tra i mille problemi connessi al mondo della pena detentiva, una straordinaria urgenza deve rivestire la questione dei malati psichiatrici. Come Lei ben sa, il suo predecessore, il presidente emerito Giorgio Napolitano, diede un grande contributo per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari: ebbe a definirli luoghi dell’orrore e aveva senz’altro ragione.

Come però spesso accade nel nostro Paese, molte riforme rimangono incompiute. Così è stato dopo la chiusura degli Opg. Le Rems, le strutture che dovevano quindi curare questi soggetti con patologie psichiatriche autori di reati, non sono state create in numero sufficiente. Il risultato è che oggi le carceri sono diventate i nuovi manicomi. Occorrono più Rems, con l’individuazione anche di strutture filtro che siano una via di mezzo tra carcere e Rems, che possano essere luoghi di cura e non di tortura.

Presidente Mattarella, non so se leggerà queste poche righe e non so se riterrà di intervenire in questa situazione. Le posso dire con certezza che l’amore per il diritto e la legalità mi portano in ultimo a essere con determinazione garante dei diritti soprattutto degli ultimi. E proprio per questo, non sarò il garante di questo scempio della dignità umana, delle leggi e del diritto.

Con i migliori saluti,
Irene Testa

—–

A supportare la richiesta d’aiuto avanzata da Irene Testa è stata l’associazione Socialismo Diritti Riforme. “Quella di Irene Testa, garante delle persone private della libertà, è l’ultima accorata denuncia, in ordine di tempo, sulla condizione di vita nelle carceri della Sardegna. Un appello, rivolto al Presidente della Repubblica, dopo aver visto con i propri occhi cosa significa, per detenute e detenuti e per chi lavora, vivere quotidianamente dietro le sbarre. Un disagio profondo che investe anche chi svolge attività di volontariato. Quello che sconcerta è il silenzio assordante del mondo politico sardo”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris di Sdr facendo notare che “la nomina della garante testa da parte del Consiglio regionale aveva fatto intendere una più forte presenza dell’Istituzione nelle problematiche legate alla vita detentiva, ma finora niente si è visto”.

“È vero che la competenza sulle carceri è ministeriale”, aggiunge Caligaris, “ma è altrettanto vero che la Sardegna, a fronte di mille sardi privati della libertà, ospita una vera e propria servitù penitenziaria con 6.000 ettari destinati alle colonie penali (unica realtà in Italia, giacché l’analoga casa di reclusione di Gorgona occupa 220 ettari), un’altissima presenza di detenuti dell’alta sicurezza e del 41bis (circa 650) e stranieri (oltre 400). In uno scenario come questo e davanti a episodi sempre più drammatici dovuti alla presenza dietro le sbarre di tossicodipendenti in doppia diagnosi e con gravi disturbi psichici, il presidente della Regione deve far sentire la sua voce nella Conferenza con lo Stato. Anche perché non solo i malati più gravi devono avere spazi alternativi alle celle e trattamenti psichiatrici riabilitativi ma anche perché alla penuria di personale per garantire le attività all’interno degli istituti si aggiunge quello dei direttori e addirittura del provveditore regionale, con doppio incarico”.

“Non basta”, osserva ancora l’esponente di Sdr, “aver nominato una garante per ritenere che il problema carceri sia risolto. Chi deve garantire i diritti deve poter contare sul supporto delle istituzioni, a partire da quella più importante che ha conferito l’incarico. In assenza di un sostegno, il lavoro prezioso della persona incaricata perde di significato e rischia di essere controproducente. Si attivino dunque il Consiglio regionale promuovendo attività culturali, lavorative e sanitarie per le donne e gli uomini detenuti e favorendo la nascita di centri di recupero psicoriabilitativi e il presidente della Regione nei riguardi dello Stato e del Governo affinché il tempo della perdita della libertà possa essere utilizzato utilmente, la pena garantisca un reale recupero sociale e chi lavora possa svolgere il proprio ruolo in serenità”.

Maria Grazia Caligaris
Maria Grazia Caligaris

Venerdì, 7 luglio 2023

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi commentarlo, accedi al sito o registrati qui sotto. Se, invece, vuoi inviare alla Redazione di Linkoristano un’informazione, una segnalazione, una foto o un video, puoi utilizzare il numero Whatsapp 331 480 03 92, o l’indirizzo email redazione@linkoristano.it

commenta