La Cina di Diego Barbacini, l'oristanese che ha girato il mondo - LinkOristano

La Cina di Diego Barbacini, l’oristanese che ha girato il mondo

Manager di successo, a Shangai per lavoro, racconta l'oriente visto con gli occhi di un sardo

Occhi a mandorla lo circondano tutto il giorno. In oriente, esattamente a Shangai, Diego Barbacini, 41 anni, oristanese, padre italiano e madre francese, è arrivato per lavoro e ci dovrà restare per 3 mesi. La sua società, la tedesca Arvato, che opera nel campo dell’outsourcing e per la quale lavora come manager operativo, lo ha mandato in Cina per insegnare ai manager locali la gestione internazionale di un team e massimizzare la loro produttività. Barbacini, con una carriera cominciata oltre confine facendo l’animatore a Disneyland Paris e salendo via via da Oracle ad Accenture e Microsoft, può davvero insegnare qualcosa sul Mondo. Da 14 anni a Dublino, nella sua vita ha visitato 51 paesi: circa 20 per lavoro e una trentina per piacere.

Diego Barbacini

Diego Barbacini

Ci racconta la sua Cina, vista con gli occhi di un occidentale. E della Cina parla come di un continente a due velocità: da una parte ci sono le città moderne, a passo con in tempi, dall’altra c’è la tradizione e un tempo immobile, ancorato al passato.

Le città. “Come tutta la Cina, anche Shangai ha una doppia anima: c’è Pundong, la parte moderna, con immensi grattacieli e grandi negozi occidentali, quelli che puoi torvare in qualsiasi altra grande metropoli del mondo; e poi c’è la parte tradizionale, dove tutto è negoziazione e piccolo commercio, dove vendono prodotti ancora con i tricicli a motore. Ci sono anche le concessioni francesce, americana e inglese con architetture europee, ma di fine ‘800, molto colorate e in movimento. Quando passeggi per i viali di queste parti della città, con i platani lungo i viali, sembra di essere a Parigi e io mi sento a casa. A Shangai c’è tutto, ma la cultura è molto censurata, anche se la città è più libera di Pechino”

Il passato che riaffiora. “Vecchia e nuova scrittura in Cina convivono, anche se i ragazzi di oggi sanno poco degli ideogrammi. Nell’era della tecnologia, infatti, scrivono sempre meno spesso sulla carta, dimenticando i caratteri meno diffusi e il rischio è che perdano la loro cultura millenaria, che passa anche attraverso la scrittura. Nei mesi che dovrò trascorrere a Shangai voglio approfondire il piacere della loro cultura, avvicinarmi agli ideogrammi cinesi e cominciare a riconoscerli e capire come li interconnettono per formare un significato”.

Gli abitanti. “In Cina sono soliti non far uscire le emozioni, non esternano. Chiunque vada lì e trasmetta i sentimenti, viene visto come un pazzo. Hanno anche la tendenza a mantenere le distanze tra uomo e donna. A Shangai è ancora impensabile che due amici o colleghi si salutino con due baci sulle guance o con una stretta di mano. Sono, però, persone molto ospitali, quando cominciano a conoscerti. C’è una grande volontà di condivisione e un grande rispetto per gli altri, anche se nei miei confronti questo li porta a chiudersi, perché da loro il subalterno non parla”.

La cultura del cibo. “I cinesi mangiano molto a base di brodo e salse. Cucinano, per esempio, la medusa con ogni tipo di salsa. Per loro il piacere non è nel gusto, ma nella consistenza di ciò che mangiano, quindi danno importanza ai condimenti e al taglio del cibo nel piatto”.

Mercoledì, 10 settembre 2014

 

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