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Coronavirus: le disavventure, i problemi e i disagi oltre la quarantena

Le difficoltà di chi ha un lavoro dipendente anche a Oristano spesso legate a un'evidente disorganizzazione

Coronavirus: le disavventure, i problemi e i disagi oltre la quarantena
Le difficoltà di chi ha un lavoro dipendente anche a Oristano spesso legate a un’evidente disorganizzazione

Certificato medico

Non solo devono far fronte a una malattia subdola e  molto pericolosa, ma i lavoratori dipendenti che hanno avuto  la sfortuna di  essere contagiati dal coronavirus, spesso in provincia di Oristano devono combattere anche l’assurda burocrazia che complica loro la vita e che evidenzia situazioni di totale disorganizzazione.  Succede, ad esempio, che le difficoltà per chi ha affrontato il coronavirus e l’isolamento  non terminano con l’atteso e desiderato esito negativo del tampone, considerato il passepartout per il totale ritorno alla “vita normale”. In questi giorni alla nostra redazione numerose sono state le segnalazioni di casi diversi: da Oristano, dalla Marmilla, dal Guilcier. Ad esempio, per poter riprendere il lavoro dopo la quarantena, i dipendenti  hanno bisogno di un certificato che non può rilasciare il medico di famiglia, ma l’Assl. Ottenerlo, però, non è affatto semplice.

La presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Oristano, Miriam Carboni, interpellata in proposito, lo conferma: “La mancanza di celerità nella produzione di questo documento”, spiega, “è tra i problemi più diffusi che abbiamo dovuto affrontare”.

“La situazione attualmente sembra si stia assestando”, precisa la presidente Carboni, che parla comunque di un “problema non strettamente territoriale”.

Miriam Carboni

“Abbiamo dovuto basarci su norme scritte spesso male e con circolari che indicavano il contrario delle norme”, prosegue la presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro. “Oltretutto le circolari dell’Inps che hanno dettato le regole per il rilascio dei certificati sono arrivate solo nel mese di ottobre. Ci sono state grosse difficoltà per gestire il pregresso e l’adeguamento”.

“Finché non si presenta il certificato che attesta che il rischio per la salute pubblica è cessato non si può far rientro al lavoro, con conseguenze poco piacevoli per il lavoratore, che continua a trovarsi in malattia, anche nei casi in cui la sua presenza servirebbe in azienda e il datore di lavoro comincia a spazientirsi”.

“È capitato anche che datori di lavoro, senza certificato, non facessero tornare e mettessero i dipendenti in ferie, o non li retribuissero”, spiega ancora Miriam Carboni. “Così com’è capitato di aziende messe in quarantena per contatti positivi, i cui dipendenti hanno avuto difficoltà a farsi mettere in malattia dal medico di base, che non aveva la certezza che il contatto fosse avvenuto”.

Tra le tante situazioni, ce ne è una, una sorta di caso limite, segnalata da una nostra lettrice di Oristano, di cui lei stessa è stata protagonista. E’ una lavoratrice che opera nel settore delle mense scolastiche, in isolamento domiciliare dallo scorso 9 novembre.

“Sono risultata positiva al tampone lo scorso 25 novembre e solo lunedì farò il secondo tampone”, spiega. “Lo avrei dovuto fare il 4 dicembre, visto che il mio isolamento è iniziato molto prima e i sintomi sono andati via subito, ma l’ennesimo ritardo nella gestione del mio caso, ha fatto slittare il controllo, tenendomi agli arresti domiciliari”.

“Non mi spaventa l’esito del tampone”, spiega ancora la donna, “ma la difficoltà che avrò a reperire il medico, come è capitato ad alcune colleghe. Non posso perdere altre giornate di lavoro, perché ho bisogno di lavorare e di avere un reddito”.

“In queste settimane ho avuto la fortuna di essere aiutata nel fare la spesa”, continua la donna, “e avevo qualche risparmio da parte, ma anche quei soldi finiscono”.

La donna, inizialmente,  su indicazione del medico di famiglia, si era sottoposta a un primo tampone da un medico privato, perché aveva la febbre: “Non mi arrivava la chiamata dell’Ats al quale il mio medico aveva fatto la segnalazione, così in accordo con lui sono andata da un privato: al costo di 80 euro. Qualche ora dopo ho avuto l’esito: negativo. Tranquillizzata dal responso ho chiesto il certificato per il ritorno al lavoro. Tuttavia, siccome avevo anche già prenotato anche il test sierologico, ho voluto fare anche quello, al costo di 30 euro. Il giorno in cui sono andata a ritirare il certificato medico per tornare a lavorare, sono anche andata a ritirare il risultato del sierologico”.

“Un’amara sorpresa: ero positiva a entrambi gli anticorpi e, quindi, positiva al virus. Se non fossi andata per scrupolo a ritirare anche il sierologico, forse del risultato negativo al tampone, poche ore dopo sarei andata a lavorare”, continua la donna.

“Mi chiudo in casa e finalmente la segnalazione all’Ats da parte dello studio privato cui mi sono rivolta per il sierologico dà risultati: vengo chiamata per eseguire il tampone: il 25 novembre sono ufficialmente positiva”.

“Sarei dovuta essere ricontatta per il tampone di controllo 8 giorni dopo l’esito positivo, considerando che il contagio è avvenuto molto prima, ma così non è. Mi hanno contattata solo giovedì scorso: lunedì, a quasi un mese dall’inizio del mio isolamento, potrò avere conferma della guarigione. Spero per Natale di poter uscire di casa”.

Sabato, 12 dicembre 2020

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