Casizolu e fil'e ferru, tradizione e orgoglio di Santu Lussurgiu - LinkOristano
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Casizolu e fil’e ferru, tradizione e orgoglio di Santu Lussurgiu

Viaggio nei sapori e nei saperi del Montiferru

casizolu

Casizolu e fil’e ferru, tradizione e orgoglio di Santu Lussurgiu
Viaggio nei sapori e nei saperi del Montiferru

In un sorso di fil ‘e ferru e in un morso di casizolu c’è la tradizione e l’orgoglio di Santu Lussurgiu, il paese che sorge a 500 metri di altitudine sul versante sud orientale del Montiferru, spesso identificato con due suoi prodotti tipici: il formaggio casizolu e l’acquavitesu fil’e ferru, appunto.

Ancora oggi la lavorazione de su casizolu conserva le tracce e i segreti dei mestieri di una volta. E’ ottenuto dal  latte di vacche appartenenti alla razza sardo-modicana (comunemente conosciute anche come bue rosso), allevate tutto l’anno in totale libertà allo stato brado e non in maniera intensiva.

In passato erano le donne a occuparsi di tutta la fase produttiva di questo formaggio tipico. Lavoravano a mano il latte appena munto e impastavano la cagliata nell’acqua bollente per modellare quella che è poi diventata con il tempo la tipica e riconoscibile forma di pera panciuta. Un lavoro lungo, sinonimo di fatica e pazienza ma anche di grande qualità. Qualità che si è tramandata fino ai giorni nostri e ha portato su casizolu a diventare, nel 2000, presidio dello Slow Food e ad esser conosciuto e diffuso anche al di fuori dei confini sardi, nelle varie fiere di settore.

Casizolu

Esiste un preciso disciplinare di produzione che contraddistingue l’Associazione Produttori Casizolu del Montiferru e che garantisce la creazione de su casizolu perfetto: la buccia dev’essere senza rughe e lucente, il colore giallo chiaro, specie all’inizio, per poi variare, in base alla stagionatura, verso un giallo oro; infine la pezzatura, superiore rispetto ai prodotti simili nel resto della Sardegna, tra i 3 e i 5 kg.

La produzione di casizolu avviene dall’autunno fino all’inizio dell’estate, nel rispetto dei cicli di lattazione delle vacche. Dalla stessa pasta de su casizolu si ottiene inoltre anche un formaggio fresco, la cosiddetta triza dalla forma intrecciata e con decorazioni sul dorso che va chiaramente consumata fresca. Non solo. Sempre da questo formaggio si ricava anche sa fresa, una formaggella ovale e cremosa che si lavora soltanto in autunno, preferibilmente con il latte ricco di grassi delle vacche gravide.

Da dire che anche dopo la filatura della pasta del formaggio, l’acqua bianca di siero non si getta: dalla lavorazione di casizolu e triza avanza infatti quello che viene chiamato s’abbagasu, un liquido grasso e denso con il quale si preparano gustose minestre a base di formaggio.

Il comune di Santu Lussurgiu, da due anni a questa parte, per promuovere su casizolu organizza nel mese di giugno, unitamente ai produttori locali, la “Sagra de su casizolu”  , nella borgata turistica di San Leonardo de Siete Fuentes. L’obiettivo dell’iniziativa è, oltre quello di omaggiare un prodotto locale che contraddistingue fortemente la storia e il territorio di Santu Lussurgiu e del Montiferru, creare un’importante occasione per far degustare ai più persone possibili questo formaggio tipico e valorizzarne così le sue peculiarità.

Nel contempo si promuove, inoltre, la carne delle vacche sardo-modicane, il bue rosso, anch’essa un presidio Slow Food. Il presidio, nato per valorizzare questa razza straordinaria, ha già fatto un percorso importante. Dopo la costituzione  del consorzio di allevatori nell’estate del 2002, il bue rosso, attraverso vari accordi con i macellai dell’isola, ha ottenuto prezzi più remunerativi. Ora la razza sardo modicana è conosciuta e apprezzata dai consumatori di tutta la Sardegna; i capi sono poco più di 3000 e il loro mercato è esclusivamente locale.

Un alambicco utilizzato per il processo di distillazione

Tra i profumi e i sapori della tradizione lussurgese, non si può non citare poi la tipica acquavite. In sardo chiamata fil ‘e ferru, letteralmente “filo di ferro”, o anche chiamata abbardente, traducibile in italiano come “acqua che arde” perché trasparente e chiara come l’acqua ma ardente e forte come il fuoco. L’acquavite tipica della Sardegna è un distillato noto per la sua caratteristica di essere ottenuta direttamente dalla distillazione del vino o delle vinacce sarde selezionate. Utilizzata per secoli come farmaco e rimedio contro tutti i mali, i primi a diffondere gli alambicchi artigianali nelle zone più ricche di vigneti furono i monaci. In Sardegna, cantine e ripostigli si trasformarono in piccole distillerie, luoghi in cui ci si riuniva anche solo per bere un bicchiere in compagnia oltre che per la vendita al dettaglio di vini e liquori, all’epoca fonte di sostentamento per molte famiglie sarde.

Nel 1874 il Regno di Sardegna vietò, però, la libera distillazione casalinga a scopi commerciali ed è così che l’acquavite si cominciò a produrla di nascosto, clandestinamente. Nell’isola, alambicchi, damigiane e fiaschi colmi di acquavite sparirono, apparentemente, dalla vista delle autorità sfuggendo così ai controlli.

Si racconta infatti che fossero le donne a produrla in gran segreto e a nasconderle in botole sotterranee, mobili a doppio fondo, nell’acqua dei cosiddetti su riu dove si lavavano i panni o in buche scavate negli orti. Da qui  diversi racconti e leggende tra cui quella, poco veritiera ma che ha sempre un suo fascino, dell’uso di fil di ferro – in sardo filu ‘e ferru – con cui venivano legati i contenitori d’acquavite prima di esser sotterrati. Questo fil di ferro, sporgendo un po’ dal terreno, avrebbe poi permesso il recupero dei distillati  successivamente. In realtà, le botti venivano semplicemente nascoste in casa o nelle cantine.

Le prime testimonianze della distillazione, a Santu Lussurgiu,  risalgono agli anni ’70 del Settecento. Nel tempo tra boschi rigogliosi e fonti d’acqua pura, la distillazione del vino ha portato  alla produzione della nota e conosciuta acquavite che conta così circa 250 anni di storia e tradizione.

Anche in questo caso, come nella produzione del casizolu, sono protagoniste le donne del paese che per generazioni, nelle cantine buie, sotto le strette vie del centro storico, distillavano con pazienza la profumata essenza di vino, che  si distingue  delle altre abbardenti sarde perché prodotta dalla distillazione del vino e non delle vinacce, come solitamente avveniva.

“Per noi l’abbardente è solo l’acquavite di vino”, dice Carlo Pische, produttore locale. “La vocazione lussurgese nella produzione dell’acquavite nasce in passato e risiede nella grande produzione di vino che il nostro paese, ma in generale nel Montiferru, ha sempre avuto. Grandi quantità di prodotto ma non un’eccelsa qualità al pari di altri vini sardi. Ed è così che, a partire da una necessità ne è stata tratta una virtù: il vino in eccesso, anziché buttarlo, è stato sottoposto a dei processi di distillatura che hanno poi dato vita a un nuovo prodotto: l’acquavite. Spesso veniva e viene  aromatizzata con il finocchietto per sopperire ai “difetti” del vino”.

Una figura storica che si è distinta in questo campo, grazie ai suoi studi e alla sua lungimiranza, è stato l’insegnante e agronomo di Santu Lussurgiu, Nicolò Meloni. E’ grazie a lui che il paese di Santu Lussurgiu  vide la nascita di una moderna distilleria, artefice della celebre Acquavite Stella e dello storico e primo cognac di Sardegna, un’acquavite di vino invecchiata in botti di rovere,  diffusasi in Italia, e non solo, alla fine del XIX secolo, e vincitore di numerosi premi su scala nazionale tra cui, nel 1896, il premio alla Camera di commercio di Roma. Un successo arrivato sino alla Francia, a Parigi, nel 1900 dove venne esposta una piramide di questi cognac sardi.

L’influenza francese fu determinante, tra l’altro, anche per il costume e la società lussurgese a tal punto che le donne del paese ne furono così colpite da far cambiare il loro modo di vestire: abbandonarono infatti quello che era l’abito tradizionale per vestirsi secondo i dettami della moda della Belle Époque.

Testimonianze di questi due saperi antichi legati alla tradizione lussurgese, la lavorazione de su casizolu e la distillazione dell’acquavite, sono conservate in una sezione del Museo della Tecnologia Contadina di Santu Lussurgiu. Ospitato nei locali del centro di cultura popolare U.N.L.A., in una antica casa padronale del XVIII secolo nella parte centrale del paese, raccoglie alcuni degli strumenti tradizionali che si usavano per la lavorazione e produzione de su casizolu oltre alla presenza di un antico alambicco di fabbricazione francese.

Testimonianze queste della vocazione prettamente agro pastorale di un territorio che è inoltre ricco di sorgenti e noto anche per le sue acque. A Santu Lussurgiu le più conosciute sono sicuramente quelle di San Leonardo de Siete Fuentes.

Le origini, risalenti al XII secolo, di San Leonardo di Siete Fuentes non sono chiare ma di certo anteriori a Santu Lussurgiu, da cui dista sei chilometri. Da sempre abitata sotto i giudicati dai Torres e poi da quello di Arborea, nei documenti più antichi questa località era indicata in latino Ad Septem fontes. Durante la dominazione spagnola prese poi il nome di Siete Fuentes mentre dal XVIII secolo, venne chiamata Villa delle Sette fontane. Ad oggi, le fontane presenti non sono più sette e la prima parte del nome deriva invece dalla vicina, antica e caratteristica, chiesa di san Leonardo.

San Leonardo de siete fuentes

Intorno alla borgata, tra boschi fitti di lecci e querce da sughero presenti sulle pendici sud-orientali del Montiferru, a quasi 700 metri di altezza, è possibile fare piacevoli passeggiate in un parco ameno e ombreggiato, tra minuscoli laghetti e ruscelli, formati dalle sorgenti, da cui sgorgano acque leggere e salutari.

Non solo natura e sorgenti d’acqua. Santu Lussurgiu è inoltre conosciuto per il suo spettacolare e tradizionale carnevale, Sa Carrela e ‘nanti, spericolata corsa a cavallo lungo una stretta vie del paese. Sa Carrela ‘e Nanti è la sintesi del carnevale di Santu Lussurgiu che ha come protagonisti non solo i cavalieri e i cavalli ma anche il pubblico. La folla è infatti parte integrante dell’evento creando un particolare effetto: la folta massa di persone si apre un attimo prima dell’arrivo dei cavalli in corsa per richiudersi subito dopo il loro passaggio.

Nel mese di giugno invece, proprio la borgata di San Leonardo di Siete Fuentes ospita la Fiera regionale del cavallo, tra le più importanti di settore in Sardegna e che si tiene da oltre cento anni. E’ una rassegna completa dell’allevamento equino che mantiene, in tutta Italia, il record della maggior biodiversità di cavalli. Ogni anno sono presenti, infatti, più di 250 cavalli di diverse razze, da quella Anglo Arabo Sardo, a quella della Sella Italiano e altre razze autoctone come il cavallino della Giara e il cavallo del Sarcidano. Per l’occasione, immancabili i diversi stand di produttori locali, tra i quali quelli di formaggio e di casizolu e quelli dedicati alla produzione dei coltelli, un’arte anch’essa tradizionale e tipica del posto che si tramanda da generazione in generazione.

Tra gli aspetti caratteristici di Santu Lussurgiu, infine, c’è anche il suo rinomato centro storico, oggi visitabile e adibito ad albergo diffuso con le sue vecchie case per le quali sono state adoperate delle soluzioni di restauro nel pieno rispetto degli ambienti originari. I lavori di ristrutturazione eseguiti precedentemente hanno permesso, infatti,  di conservare il patrimonio storico-artistico preesistente con pietre ben squadrate, archi di controspinta e stipiti in basalto e trachite dalle diverse sfumature.

Centro storico di Santu Lussurgiu

Dove dormire e mangiare

Sabato, 21 novembre 2020

(Questa pagina è realizzata in collaborazione con l’Assessorato al turismo della Regione Sardegna)

 

 

 

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