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I medici protestano, i pazienti anche: ecco i disagi della sanità oristanese

Parlano i rappresentanti dell’Ordine, dei sindacati e delle associazioni: situazione molto grave

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I medici protestano, i pazienti anche: ecco tutti i disagi della sanità oristanese
Parlano i rappresentanti dell’Ordine, dei sindacati e delle associazioni: situazione molto grave

È la fotografia di un servizio sanitario incapace di rispondere alle esigenze dei pazienti e, spesso, a garantire loro l’assistenza salva vita, quella presentato questa mattina a Oristano, nel corso della conferenza stampa promossa dall’Ordine provinciale dei medici, unitamente ai sindacati medici e alle associazioni dei malati e di tutela dei diritti dei cittadini, per discutere la gravissima situazione in cui versa la sanità oristanese.

Una situazione drammatica causata dalla carenza di organico, ma anche dalla volontà politica di depotenziare il territorio, in favore di altri.

“Il San Martino sta venendo smantellato, tutti i servizi sono carenti”, ha lamentato Giampiero Sulis, segretario aziendale Cimo, prima di stilare un lungo elenco di situazioni problematiche e poco rassicuranti.

“Al pronto soccorso attualmente ci sono sei medici in meno e alcuni tra quelli che esercitano non fanno il turno di notte”, spiega Sulis. “I colleghi che fanno le notti coprono anche i turni di chi non le fa e questo comporta un monte ore che non garantisce la lucidità”.

Un problema di ordine strutturale al quale si aggiunge anche l’assenza di condizionatori che in giornate di caldo come quelle estive rendono l’ambiente di lavoro inadatto a garantire situazioni di benessere per chi vi opera.

“Non solo personale medico”, aggiunge Giampiero Sulis, “al pronto soccorso mancano anche infermieri e oss, i quali cessata la fase acuta dell’emergenza, vengono rispostati nei reparti”.

Non va meglio in Radiologia, reparto dove Sulis esercita: “Non saremo in grado di metterci al pari con i pazienti che nei mesi dell’emergenza non hanno potuto effettuare le visite. Siamo due medici nel turno di mattina e uno il pomeriggio e solo due senologi, che lavorano in Dea. Ci chiedono prestazioni aggiuntive, ma con questo organico non è possibile”.

“La chirurgia ha solo sette medici ed è senza primario da due anni”, incalza Sulis, “come si può fare turnazione corretta se in sala si deve entrare in due? Non siamo in grado di garantire i servizi salvavita e i nostri pazienti vengono trasferiti altrove”.

Lacune anche nel reparto di Ortopedia: “L’assistenza notturna è garantita solo da infermieri la notte”, denuncia Sulis.

In deficit anche il reparto di pediatria con il pronto soccorso pediatrico.

“Pur con 4 mila pazienti l’anno, si sta decidendo che si tornerà in pronto soccorso, con il rischio del collasso”, avverte Sulis, che aggiunge: “Anche il reparto di pediatria da due anni non ha il primario e presenta una carenza di almeno 6 medici”.

“Se il pronto soccorso pediatrico convergesse con il pronto soccorso normale”, continua Salvatore Manca, per 19 anni primario in quello del San Martino e attuale presidente nazionale del sindacato Simeu, “potremmo incorrere nella necessità di 52 ore di attesa. Il pronto soccorso imploderebbe”.

Al lungo elenco di carenze si aggiunge Oncologia: “Il direttore dell’Asl Mariano Meloni ha detto che non serve il reparto per i ricoveri”, spiega Giampiero Sulis, “ma i posti letto sono importanti perché anche i pazienti oncologici possono avere necessità appunto del ricovero. Non si può ricoverare in medicina, o magari in altri reparti per mancanza di posti letto”.

Infine la questione degli anestesisti che negli ultimi mesi ha acceso diverse polemiche per il trasferimento di 4 professionisti sugli 8 presenti al San Martino: “Lo scorso anno erano 22 e quest’anno 13 più due specializzandi. Non sono in grado di garantire nemmeno la terapia del dolore”.

“Questo è lo smantellamento dell’ospedale di Oristano”, chiosa il referente Cimo, Giampiero Sulis.

Non è totalmente d’accordo ad attribuire la causa della grave situazione di precarietà dell’ospedale oristanese alla carenza di organico Salvatore Manca, presidente nazionale Simeu: “Tutto viene trincerato dietro la carenza di organico, ma la realtà è che si sono scoperti gli ospedali periferici in favore di Cagliari e Sassari”, accusa Manca, “Con il Dm 70 l’ospedale di Oristano era stato inquadrato come dipartimento di emergenza e accettazione di 1° livello, ma messa l’etichetta tutto si è fermato”.

“Se lo è devono metterci nelle condizioni di avere le strutture, altrimenti devono dirci hiaramente che siamo un ex ospedale di zona, in questo modo sapremo contro cosa dobbiamo combattere”, conclude Manca, che solleva la necessità di “fare rete a livello regionale”.

“Se l’ospedale piange, la medicina di famiglia non ride”, aggiunge Alessandro Usai, segretario di Fimmg Oristano. “I medici di famiglia sono tutti anziani e stanno andando via. Su una popolazione di 141 mila abitanti ci sono 112 medici, quando la proporzione dovrebbe essere di 1 ogni 1000 abitanti”.

Tre le criticità sollevate da Usai: la domiciliarità, la cronicità e la prevenzione.

Diversi i problemi sollevati anche dalle associazioni dei pazienti.

“La farmacia territoriale ha subito una drastica riduzione di orario a fronte del 12 operatori, attualmente sono solo in 4”, polemizza Maria Grazia Fichicelli, di Cittadinanzattiva, che solleva anche il problema della ripartenza delle visite: “La Assl sta riprogrammando le visite interrotte dal coronavirus, ma nel frattempo a quelle se ne aggiungono altre, come abbatteranno le liste d’attesa? Tutto questo va a discapito dei cittadini”.

“I presìdi ospedalieri sono in affanno per sopperire alla carenza di organico di Bosa e Ghilarza, anche prima dell’emergenza si è fatto ricorso a esterni o liberi operatori”, aggiunge Mariagrazia Fichicelli, esprimendo preoccupazione per l’annuncio dei giorni scorsi relativamente alla mancata chiusura del pronto soccorso di Bosa: “Può sembrare una notizia positiva, ma non lo è: con quale organico verrà mantenuto aperto?”

“La pandemia”, conclude la referente di Cittadinanzattiva, “può essere vista come una risorsa che ha messo completamente a nudo i disservizi”. “Dobbiamo approfittarne, ha concluso Maria Grazia Fichicelli, non prima di una tirata d’orecchie ai sindaci: “non si sono fatti sentire, devono appoggiarci”.

“L’emergenza coronavirus”, aggiunge Maria Delogu, presidente dell’associaizone Komunque Donne al quadro già piuttosto tragico della sanità di Oristano, “ha interrotto screening e follow – up e ora gli unici due medici che eseguono le radiografie dovranno farsi carico di tutto ciò che non è stato”.

“Il reparto di oncologia, però, non colpisce perchè è sempre così dal 1992”, aggiunge Maria Delogu, soffermandosi sui numeri. I pazienti nel 2019 sono stati 9109 in oncologia e 2770 in ematologia. “Dati che ci spingono”, conclude la presidente di Komunque Donne, “a chiedere per il San Martino una struttura complessa di oncologia e una semplice di ematologia”.

Non descrive una situazione più rosea Massimiliano Vinci, presidente dell’associazione Thalassemici, denunciando una “pessima gestione dei pazienti cronici”.

“Siamo 70 pazienti assegnati al servizio trasfusionale”, precisa Vinci, “un eccellenza, ma i talassemici non hanno bisogno solo di trasfusioni”.

“Attualmente ci segue un solo medico trasfusionista, ma non può dedicarsi esclusivamente a noi”, continua Vinci che sollecita la ripresa del tavolo regionale dedicato: “da troppo tempo è fermo”.

Tra i pazienti cronici che soffrono la mala organizzazione anche i diabetici: “A fronte di un aumento di casi – 31 mila nuovi casi in 10 anni – si assiste a un impoverimento del servizio”, denuncia Marcello Grussu dell’associazione diabetici, che parla di meno 10 punti di assistenza in 10 anni e meno 30 operatori sanitari, tra diabetologi e infermieri.

Nella sola città di Oristano a un incremento del 35% di pazienti, si assiste a una riduzione del 40% di medici, passati da 10 a 6, di cui uno solo strutturato.

Gli infermieri sono passati da 10 a 7, i dietisti da 3 a 1 e non si è mai avuto un podologo.

“Il piede diabetico è una delle peggiori patologia legate al diabete”, denuncia Grussu, “ e qui si continua ad amputare, nonostante la prevenzione sia meno dispendiosa”.

“Il rapporto medico- paziente dovrebbe essere di 1 a 1000 e invece nel nostro caso è di uno a 1924”, aggiunge Grussu, che denuncia anche: “Non ci vengono forniti i dispositivi ad alta tecnologia”e molti strumenti andranno fuori produzione”.

“Le visite dovrebbero essere effettuate ogni tre mesi e invece vengono garantite ogni 7- 8 mesi”, conclude Grussu. “Il termometro di questa situazione, lo viviamo noi pazienti”.

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Venerdì, 3 luglio 2020

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