Più di diecimila adesioni alla petizione "salva-coste" - LinkOristano
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Più di diecimila adesioni alla petizione “salva-coste”

L'iniziativa contro le modifiche al Piano paesaggistico regionale e per il mantenimento dei vincoli di tutela

Carloforte Hotel La Caletta

di Stefano Deliperi
Gruppo di intervento giuridico onlus

Sono già più di 10.000 le persone sensibili e consapevoli che hanno sottoscritto la petizione popolare per la salvaguardia delle coste sarde rivolta al Ministro per i beni e attività culturali e turismo, al Presidente della Regione autonoma della Sardegna e al Presidente del Consiglio regionale sardo con la richiesta di mantenimento dei vincoli di inedificabilità nella fascia dei 300 metri dalla battigia marina, stabiliti dalle normative vigenti e dalla disciplina del piano paesaggistico regionale (P.P.R.).

Cittadini con le idee chiare: salvaguardare le coste della Sardegna significa difendere il proprio ambiente, la propria identità, il proprio futuro.

Concetti evidentemente difficili da comprendere per chi ha l’orizzonte limitato alla prossima competizione elettorale, come la gran parte della classe politica al governo isolano, ieri del centro-sinistra, oggi del centro-destra, compreso il velleitario indipendentismo d’obbedienza leghista.

Davanti a un’abissale crisi economico-sociale, davanti a drammatiche problematiche come quella dell’abbandono scolastico che sta portando sempre più l’Isola a un futuro ignorante da manodopera dequalificata, davanti a un dissesto idrogeologico foriero di mille calamità innaturali, davanti a un contesto da terzo mondo nel settore dei trasporti, il mondo politico sardo è capace di dare una sola risposta, sempre la stessa da decenni: cemento sulle coste con la pretesa di favorire il turismo.

Il Presidente della Regione Christian Solinas recentemente lamentava dalle colonne de La Nuova Sardegna (edizione del 18 gennaio 2020) che il suo proposto piano casa è stato “accusato di voler lasciare spazio al cemento” e agli “ecomostri” sulle coste senza aver nemmeno letto la sua proposta.

Con una lunga dissertazione paragonava la situazione attuale alle atmosfere di Gabriel Garcia Marquez. In realtà, più che a un capolavoro della letteratura siamo davanti a una telenovela, a una Cyranda de Pedra ormai stantìa.

Il testo del suo disegno di legge concernente “Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed altre disposizioni in materia di governo del territorio” (deliberazione Giunta regionale n. 23 dicembre 2019, n. 52/40) è tuttora sconosciuto perché a distanza di un mese non s’è degnato di pubblicizzarlo e nemmeno di trasmetterlo al Consiglio regionale, manco fosse oggetto di conoscenza riservata agli iniziati.

Ma quanto dichiarato dal presidente Solinas e dall’Assessore regionale dell’urbanistica Quirico Sanna basta e avanza per farsi un’idea ben precisa: la Giunta regionale Solinas ha chiaramente manifestato le proprie intenzioni, rivendicando i pieni poteri sul paesaggio e adottando una proposta di legge per ampliare le ipotesi di aumenti volumetrici nella fascia costiera, compresa quella della tutela integrale dei 300 metri dalla battigia marina, in favore di qualsiasi struttura ricettiva (alberghi, residence, multiproprietà, ecc.), nonché per consentire “l’edificazione di fabbricati per fini residenziali nell’agro … anche ai non imprenditori agricoli o coltivatori diretti” in un fazzoletto di terreno agricolo, incentivando così speculazione edilizia e consumo del suolo, stravolgendo la pianificazione paesaggistica e urbanistica, nonchè scaricando sulla collettività i costi ingenti per le necessarie opere di urbanizzazione.

Riprendere la speculazione immobiliare lungo le coste è un intento ottuso e autolesionista: si tratta della parte più pregiata del patrimonio ambientale e paesaggistico isolano, il fondamentale richiamo turistico, elemento di grande importanza per un’economia locale sempre più disastrata, grazie soprattutto alla mancanza di efficaci interventi nei settori nevralgici dei trasporti e della politica scolastica.

Più che rivolgersi agli improbabili esperti (da Flavio Briatore, ad Alessandro Moggi, a Lucio Presta…) ormai di casa alla Presidenza della Regione, sarebbe opportuno approfondire qualche elemento di rilievo in materia: oltre al pesante degrado della risorsa ambientale, basterebbe evidenziare in proposito il ridotto tasso di occupazione delle strutture ricettive: 22% per le strutture alberghiere e 9,1% per quelle extralberghiere (dati inferiori alla media italiana, ma in linea con quelli delle regioni competitor italiane: Sicilia, Puglia e Calabria). I motivi risiederebbero nella forte stagionalità dei flussi, tipica del turismo marino-balneare.

Basti pensare che le strutture vengono utilizzate per il 54% nel mese di agosto e solamente per l’1% nei mesi di gennaio e di dicembre (dati XXIV Rapporto Crenos sull’economia della Sardegna, 2017).

Non solo.

Il recente report della C.N.A., elaborato sui dati ISTAT, indica in ben 261.120 le “abitazioni vuote”, cioè il 28,2% del patrimonio edilizio complessivo e propone una soluzione intelligente sia in chiave turistica che per il contrasto al consumo del suolo: “la creazione di alberghi diffusi, alberghi residenziali e B&B, concepiti come sistema a rete a gestione centralizzata delle prenotazioni e dei servizi accessori (dalle pulizie, alla ristorazione, alle visite guidate, al noleggio di mezzi di trasporto, ecc.). Si tratta un modello di offerta ricettiva di recente diffusione in Italia ed Europa, tra l’altro riconosciuto in modo formale per la prima volta proprio in Sardegna con una normativa specifica del 1998, la cui particolarità consiste nell’offrire agli ospiti l’esperienza di vita in un autentico borgo storico o in un piccolo nucleo rurale, alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso, dove è situata la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro e tutti gli altri servizi che contraddistinguono l’ospitalità alberghiera”.

Il potenziale isolano è notevole e ben potrebbe rivitalizzare i tanti borghi semi-abbandonati: “Nel 2018 i 14 alberghi diffusi e gli 80 alberghi residenziali, con una offerta complessiva di 14.278 posti letto (l’1,5% delle strutture e il 6,5% dei posti letto), hanno infatti accolto 192.756 arrivi e 1.182.513 presenze, pari rispettivamente all’8,1% degli arrivi e l’11% delle presenze complessivamente registrate in regione”.

In realtà, per migliorare l’offerta turistica sembrano prioritarie altre iniziative, a iniziare dal radicale miglioramento dei collegamenti aerei e navali in regime di continuità territoriale o comunque attraverso meccanismi di abbattimento dei costi per i non residenti, continuando con una politica efficace delle aree naturali protette e dei beni culturali per ampliare offerta e stagione turistica (per esempio, l’istituzione del parco naturale della Giara in connessione con l’area archeologica di Barumini, itinerari eno-gastronomici e culturali locali), per finire con la promozione di veri e propri “pacchetti turistici” specifici per mète ed eventi (es. S. Efisio, Carnevale, Pasqua, Candelieri, turismo naturalistico, ciclo-turismo, ecc.) nell’ambito di una politica di promozione turistica degna di questo nome, cosa che la Sardegna non ha mai avuto.

Altro che la solita banale speculazione immobiliare sulle coste, roba da neuroni cementificati.

A che servirebbero, quindi, nuove volumetrie per alberghi e residence, soprattutto dopo aver già consentito aumenti di cubature per varie volte in pochi anni?

E sì, chi voleva ammodernare le proprie strutture ricettive, dotandole di camere migliori e di centri benessere, poteva farlo con la legge regionale n. 45/1989 (art. 10 bis, comma 2°, lettera h), con la legge regionale n. 4/2009 (artt. 2-4), con la legge regionale n. 8/2015 (artt. 30 e ss.).

Siamo all’anatocismo edilizio, alla bulimìa mattonara.

Ancora una volta, quindi, è necessario ricordare poche cose, ma chiare.

Normative di salvaguardia costiera e piano paesaggistico sono obblighi non derogabili, previsti dalla normativa nazionale (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) in attuazione dei principi costituzionali (artt. 9 e 117, comma 2°, lettera s), mentre il piano paesaggistico dev’essere predisposto in collaborazione (c.d. copianificazione) con il Ministero per i beni e attività culturali, come da giurisprudenza costituzionale costante.

Norme di tutela costiera e disciplina del piano paesaggistico regionale (P.P.R.) hanno finora dato buona prova per difendere il paesaggio costiero della Sardegna, che ha conservato per ampi tratti straordinari valori ambientali e naturalistici altrove ormai degradati o scomparsi.

Dal canto nostro, abbiamo fatto, facciamo e faremo la nostra parte per difendere i litorali sardi: fra le tante azioni, siamo riusciti a far annullare (1998, 2003) dai Giudici amministrativi i piani territoriali paesistici del 1993, che tutelavano le speculazioni immobiliari e non l’ambiente, abbiamo contribuito ad affossare il tentativo dell’Amministrazione regionale Cappellacci di stravolgere il P.P.R. (2013-2014), abbiamo contribuito a fermare le norme eversive della pianificazione paesaggistica proposte dalla Giunta Pigliaru (2018).

E sono tante, tantissime, le persone sensibili che vogliono la salvaguardia delle coste quale difesa del proprio futuro, già più di 10.000 hanno sottoscritto la petizione popolare per la salvaguardia delle coste sarde e nessuno rimarrà inerte davanti all’ennesima follìa contro l’ambiente e lo stesso avvenire dei Sardi.

Mercoledì, 22 gennaio 2020

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