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Ricordato a Oristano l’olocausto dei rom: mezzo milione di vittime

Iniziativa al Liceo classico De Castro col musicista e professore Santino Spinelli: "No anche ai ghetti di oggi"

Santino Spinelli

Ricordato a Oristano l’olocausto dei rom: mezzo milione di vittime
Iniziativa al Liceo classico De Castro col musicista e professore Santino Spinelli: “No anche ai ghetti di oggi”

«Mani in alto, muovete le mani, per i porti aperti e per l’accoglienza». Al De Castro di Oristano si è ignorato proditoriamente l’adagio popolare “Né di Venere né di Marte ci si sposa o si parte” perché, a giudicare dall’evento svoltosi nella scuola venerdì  1 febbraio, un maritaggio si è davvero celebrato in quel di Piazza Moro: il matrimonio che ha come sposi la scuola, uno tra i più influenti licei classici della Sardegna, roccaforte culturale oristanese, e la causa dell’immigrazione e dell’integrazione, avallata fortemente dal preside dell’Istituto Pino Tilocca.

Dopo l’evento di Libera a Gergei (contro la mafia e a favore di una società multietnica), in cui il De Castro è stato co-protagonista, ecco che, in occasione della Giornata della Memoria, la Scuola di Oristano ha lanciato un trittico di eventi per la piena commemorazione delle vittime della follia nazifascista.

I primi due incontri, ospitati nelle strutture del vicino Museo Diocesano Arborense in orario serale sono stati un successo in termine di affluenza e gradimento, anche tra i ragazzi stessi. Ma il dulcis in fundo doveva ancora arrivare: il terzo evento, infatti, il 1° febbraio scorso nella palestra del Liceo Classico, ha toccato le stelle e fatto schizzare gli indici di godibilità e di valore educativo. Complici, probabilmente, le note calde del gruppo musicale rom Alexian Group e una scenografia impressiva realizzata dalle mani dei ragazzi stessi del De Castro, l’iniziativa  ha offerto a centinaia di studenti nuovi spunti di riflessione sugli strascichi della Seconda Guerra Mondiale. Primo fra tutti, il latente razzismo odierno, che rischia di far riaffiorare polverosi scheletri nell’armadio. In secondo luogo, ad esser stata messa sul bancone degli imputati la dilagante ignoranza storica, generatrice di “misunderstanding” e odio viscerale verso i rom: proprio loro, gli “ultimi” della nostra società, sono stati i protagonisti della mattinata oristanese.

Ha fatto seguito un anatema scagliato alla comunità degli storici, rei di ignorare «le sofferenze dei rom e dei sinti durante il nazismo». Qui, a togliersi qualche sassolino dalla scarpa è stato il frontman della notissima band Alexian Group, Santino Spinelli, docente universitario di lingua e cultura sinti all’Università di Chieti e noto musicista: «Tutti si ricordano la Shoah, giustamente, ma pochi, anche tra gli adulti, sanno cos’è il “porrajmos”. Anzi, molti ignorano che anche i rom e i sinti morirono in luoghi come Aushwitz».

Davanti ai suoi occhi, oltre alla platea formata dai ragazzi, una prima fila occupata dalle autorità civili della Provincia e del Comune: il sindaco di Oristano, Andrea Lutzu, il prefetto, Gennaro Capo (recentemente insediatosi), la vice prefetta vicaria Danila Congia, l’assessore alla cultura oristanese Massimiliano Sanna, alcuni dei quali intervenuti in merito alla Shoah.

«Quanti di voi sanno invece cos’è il porrajmos, allora?», ha incalzato Spinelli, prima di darne egli stesso una spiegazione esaustiva. «Come la Shoah per gli ebrei, il Porrajmos è il nome dato all’ olocausto dei rom e dei sinti: 500 000 mila persone di questa etnia furono ammazzate dai nazisti negli stessi campi di concentramento dove morivano gli ebrei».

E ancora: «Vi dico una cosa: quando io mi esibisco musicalmente in tv, va tutto bene finché suono e basta. Ma quando cerco di prendere la parola e di comunicare questa verità, quella del “porrajmos”, allora mi mettono a tacere. Questo perché i media non vogliono che vi si dica che per i rom e per i sinti c’è ancora disprezzo».

«Già chiamarli zingari, come la maggior parte degli italiani fa, come molti giornali e giornalisti fanno, dà loro una connotazione negativa e rende chiaro che tanto nascosto questo razzismo non è», ha precisato Santino Spinelli. Ma un’altra cosa – ipse dixit – è più scabrosa. «Il fatto che esistano tutt’oggi i ghetti. I campi rom. Se la politica avesse speso bene i soldi stanziati nel corso degli anni, oggi i “nomadi” potrebbero stare in una casa vera, confortevole, e di loro proprietà». E invece: « “gli zingari” vengono tenuti fuori dalla società: sono senza prospettive di lavoro. Accusati di essere nomadi volontariamente, quando il loro nomadismo è coatto». Propensi all’illegalità come mezzo di sussistenza, è stato detto. «Non entrano in quel modo per scelta, ma per estrema necessità».

Anche l’Italia ha delle colpe su questa stigmatizzazione silenziosa dei rom. Specie gli italiani che votano i partiti populisti. « “Prima gli italiani” è uno slogan che non mi piace», ha affermato ancora Santino Spinelli. Salvo poi essere più esplicito: «Prima vengono coloro che si sentono italiani, senza distinzioni». Dunque, ha affermato: «I rom meritano rispetto. Non vanno chiamati nomadi». Non meritano, gli “zingari”, di essere bollati all’unanimità come ladri di bambini, reputati come non possessori del senso della famiglia (anche se ci destabilizza la storia del bambino di 8 anni abbandonato dalla madre nell’autostrada a Carmagnola ha per protagonista una donna rom). «Meritano una politica che sappia tutelarli. Tutelarci. E capace di non fare generalizzazioni. Vedo in voi il futuro», ha concluso Santino Spinelli. Il clamore di questa dissertazione si è sciolto in un fragoroso applauso e nel suono sciabordante della fisarmonica del frontman dell’Alexian Group. «Chiudiamo i ghetti. Diciamo basta al razzismo. Risolviamo il problema campi rom».

Ecco celebrata, al De Castro, la piena commemorazione delle vittime del nazifascismo, che non si esauriscono coi soli ebrei. «Mani in alto, muovete le mani, per i porti aperti e per l’accoglienza». Per non dimenticare le vittime di ieri e le vittime di oggi. (Alessio Cozzolino)

Sabato, 9 febbraio 2019

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