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Cavalli e cavalieri, tra saperi antichi e pagine di storia

La ricca tradizione equestre rievocata in un articolo di Beppe Meloni

Satiglia - Bardatura cavallo

Cavalli e cavalieri, tra saperi antichi e pagine di storia

Foto di Mauro Orrù

di Beppe Meloni
Passati i giorni della Candelora, con la presentazione della pariglia del componidori da parte dei Gremi, la Sartiglia si avvicina a grandi mangiate. E sarà festa di popolo e di cavalieri, che esibiranno con orgoglio, fra rosette colorate e sonagli, il proprio destriero.

Spesso preso in prestito da qualche caro amico, il cavallo è determinante per il buon esito della giostra. Da sempre nel DNA dei sardi, il connubio uomo-cavallo ha contribuito a selezionare generazioni di cavalieri talentuosi, per ardimento e destrezza. Come testimoniato dalla statuina in bronzo dell’epoca nuragica, arciere saettante sul dorso di un cavallo, descritto da Giovanni Lilliu come un “cavallerizzo equilibrista, impegnato in uno spettacolo-rito cultuale”.

Una tradizione forgiata sul cavallo più antico del mondo, quello del Sarcidano, discendente di tipo due da quell’Equus Ibericus citato da Cesare nel “De bello Gallico”. Cavalcato ancora a pelo nelle nostre campagne, si distingue per la particolare dentatura e la durezza del suo zoccolo. Fornito di un patrimonio genetico che possiede dati fondamentali per gli studi sull’evoluzione del cavallo, deve ai privati la sua sopravvivenza. La tutela è affidata congiuntamente al comune di Laconi e al Centro d’Incremento Ippico Sardo, oggi Dipartimento di Ricerca della Regione Sardegna. Presidi derivati dal più antico Deposito di Stalloni del Regno, voluto dai Savoia, che investirono sul miglioramento della razza equina, apprezzandone le tipicità genetiche.

Esemplari versati per l’equitazione, resistenti al lavoro, furono il punto di partenza per selezionare campioni destinati all’uso militare. Da qui è derivata la razza Anglo-arabo-sarda, con innesti di patrimoni genetici di purosangue inglesi e di stalloni arabi importati dalla Siria.

Vestiti da un manto baio, sauro o grigio, si apprezzano per il carattere vivace, nevrile e coraggioso. Resistenti alla fatica, capaci di percorrere , con soste opportune, fino a 100 km in un giorno.

Beppe Meloni

Nonostante tanta tradizione, non si conoscono opere di autori sardi dedicati all’educazione del cavallo, segno che la tradizione orale ha prevalso, riuscendo a perpetuare da sola l’antica arte. Ma possiamo dilettarci con diversi resoconti di viaggiatori dell’Ottocento che hanno compilato relazioni sul nostro territorio e la sua gente, esprimendo opinioni di riguardo rispetto alla piacevole andatura del cavallo sardo “il cui passo ambio lento favorisce un andatura piacevole come una gondola”.

La stessa andatura che Francesco Cetti, zoologo comasco del Settecento, definiva bene in queste righe: “La cosa più bella al mondo, paragonabile al veleggiare in mare con vento propizio. Il cosiddetto passo portante, così difficile da acquisire per il cavallo, consiste nel muovere le zampe anteriori e quelle posteriori in maniera coordinata, prima a destra e poi a sinistra. Acquisizione così importante da far dire ad un signorotto di campagna che il cavallo era stupido e da non tenere se non l’apprendeva”.

Ora si avvicina il momento di ammirarlo durante la giostra equestre cittadina, la più importante del Mediterraneo. Ancora una volta, infatti, accompagnerà l’uomo nella rievocazione dei riti agrari, per far rinascere la natura e la vita. E con la rapidità del suo galoppo, potrà consentirci di superare felicemente quel periodo di morte apparente che è l’inverno. Allora l’augurio di sentirci liberi e in pace con noi stessi sembra possibile, basta essere “Cavalieri”!

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