Detenuto "suicida" nel carcere di Massama: la famiglia non ci crede, vuole l'autopsia - LinkOristano
Cronaca

Detenuto “suicida” nel carcere di Massama: la famiglia non ci crede, vuole l’autopsia

La Procura di Oristano richiede l'archiviazione dell'inchiesta

Massama carcere

Roma

La Procura di Oristano richiede l’archiviazione dell’inchiesta

Diventa un caso la morte nel carcere di Massama  di Stefano Dal Corso, 43 anni, di Roma,  rubricata come suicidio e avvenuta il 12 ottobre scorso. L’Agenzia Giornalistica Italia riferisce che proprio l’ipotesi del suicidio non convince la famiglia dell’uomo, tanto da  affiancare il proprio legale, l’avvocato Armida Decina, col   medico legale Cristina Cattaneo, il consulente forense che ha lavorato alla risoluzione dei delitti più conosciuti in Italia: dall’omicidio di Serena Mollicone al caso di Stefano Cucchi.

La procura di Oristano, nonostante le tre istanze presentate dall’avvocato Decina, ha deciso di chiedere l’archiviazione del fascicolo aperto con ipotesi di omicidio colposo. Secondo i magistrati non ci sono dubbi: Stefano, nato e cresciuto nel quartiere romano Tufello, si è impiccato alla grata davanti la finestra, proprio sopra il letto, in carcere. Nessuno avrebbe potuto fare nulla per evitare questa tragedia.

Secondo i familiari, però, c’è più di un elemento che non quadra a cominciare dall’assenza di un esame autoptico sul corpo dell’uomo.

Il pm Armando Mammone, a quanto riferito dai familiari, ha ritenuto però non ci sia  alcuna necessità dell’autopsia “data l’insussistenza di elementi idonei che potessero giustificare detto esame medico”. Non dello stesso avviso il medico legale Cattaneo che ritiene invece necessario l’esame per stabilire le cause della morte di Stefano Dal Corso. Tanto più che non ci sono testimoni diretti del gesto: nessun detenuto avrebbe visto o sentito nulla nelle ore in cui, si presume, possa essere avvenuto il fatto.

“Le indicazioni scientifico-forensi nazionali e internazionali sulle investigazioni delle cause di morte (tra cui il Minnesota Protocol delle Nazioni Unite) suggeriscono sempre l’effettuazione dell’esame autoptico completo soprattutto in casi di morti in custodia, senza il quale è impossibile giungere ad un giudizio affidabile”, scrive il medico legale in una comunicazione inviata al pubblico ministero. In questo caso, poi, è ancora più complicato arrivare a conclusioni senza un esame medico approfondito. Non esistono, infatti, nemmeno le foto del corpo di Stefano impiccato (o almeno ad avvocato e medico legale non sono mai arrivate, ndr) e quelle esistenti sono dell’uomo vestito (15 in tutto).

“Dalle poche immagini visionate si intuisce che vi è un solco al collo con margini arrossati. Questo unico elemento non può essere dirimente per una diagnosi di suicidio né di morte per impiccamento – scrive ancora la dottoressa Cattaneo -. L’autopsia giudiziaria è fondamentale in questi casi per sciogliere i nodi almeno su quanto segue: se il solco al collo sia l’esito dell’impiccamento o di un precedente strangolamento cui è seguita una simulazione di impiccamento; se il soggetto fosse vivo al momento dell’applicazione di un laccio (o altro) intorno al collo; se vi siano segni interni coerenti con l’ipotesi di asfissia meccanica per impiccamento; se vi siano segni riconducibili a colluttazioni (colpi ad esempio non sempre visibili al mero esame esterno); se siano state assunte o somministrate sostanze stupefacenti o farmaci; se vi siano tracce genetiche riconducibili all’intervento di terzi nella dinamica del decesso”.

“In mancanza di questi elementi desumibili soltanto dall’autopsia e conseguenti indagini di laboratorio, non è possibile dichiarare la morte per asfissia meccanica, né stabilire che la modalità sia stata suicidiaria”, conclude il medico legale di Stefano Dal Corso.

I familiari del detenuto giustificano i loro dubbi anche con  l’umore di Dal Corso, nei giorni precedenti al suicidio, era buono e mai aveva dato modo di pensare a un epilogo del genere. A dimostrarlo – secondo la famiglia – anche una lettera nella quale scriveva alla compagna di “voler uscire dal carcere per passare del tempo con lei e con la loro figlia”. E non mancava poi così tanto: Stefano Del Corso avrebbe finito di scontare la pena per spaccio di droga, derivante da una condanna passata in giudicato e divenuta definitiva, il prossimo 31 dicembre.

Secondo quanto riferisce ancora l’Agenzia Giornalistica Italia, da Roma ora si sta facendo  partire una raccolta fondi per pagare l’autopsia di Stefano.

“Per il pm Stefano si è suicidato. Per la famiglia e chi ha conosciuto Stefano l’unica certezza e verità da cui bisogna partire è che mai si sarebbe tolto la vita. Per iniziare questa ‘guerra’ di verità e giustizia dobbiamo pagarci l’autopsia. Servono tanti soldi: 6 mila euro. Noi non lasceremo sola la famiglia di Stefano”, afferma Giuliano Castellino di ‘Italia Libera’ che, insieme ad altri militanti, sta sostenendo i familiari del quarantetreenne. Ex leader romano di Forza Nuova e per una vita braccio destro di Roberto Fiore, Castellino è oggi a processo, insieme ad altre persone, tra cui lo stesso Fiore e l’ex militante dei Nar Luigi Aronica, per l’assalto alla sede nazionale della Cgil, a Roma, il 9 ottobre 2021.

Sabato, 25 marzo 2023

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