"Assessore, basta critiche ingiuste ai medici sul territorio. Diteci se la Giunta vuole difendere la sanità pubblica" - LinkOristano
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“Assessore, basta critiche ingiuste ai medici sul territorio. Diteci se la Giunta vuole difendere la sanità pubblica”

Lettera aperta a Carlo Doria dal segretario provinciale della FIMMG, Peppino Canu

Sanità e burocrazia
Immagine d'archivio

Oristano

Lettera aperta a Carlo Doria dal segretario provinciale della FIMMG, Peppino Canu

Pubblichiamo integralmente una lettera aperta che il dottor Peppino Canu, segretario provinciale di Oristano della FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, ha indirizzato all’assessore regionale della Sanità, Carlo Doria, a proposito della drammatica situazione dell’assistenza di base in provincia e in tutta la Sardegna.

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Carissimo Assessore, non basta la stima personale e il suo abituale approccio ai problemi con grande pragmatismo a giustificare le sue ultime affermazioni pubbliche sulla sanità sarda e la sua complessa organizzazione.

È con grande stupore che ho appreso leggendo le notizie di questi giorni delle critiche e affermazioni del responsabile di tutta l’assistenza sanitaria nella nostra isola. Non si può intervenire criticando e svilendo l’attività di tanti colleghi, sia nell’assistenza organizzata nei centri ospedalieri che in quella particolarmente in crisi della medicina territoriale.

Ci si deve intendere, innanzitutto: l’attuale guida politica isolana intende farsi carico del Servizio Sanitario Nazionale, difendendolo da vari attacchi, riorganizzando e valorizzando alcuni settori oggi in grande sofferenza? Questo è il presupposto fondamentale. l’attuale guida politica regionale vuole conservare il SSR pubblico?

Il segretario provinciale della Fimmg Peppino Canu a lume di candela
Il dottor Peppino Canu, segretario provinciale dei medici di medicina generale

Se si parla di continuità assistenziale, affermare che i colleghi in turno su tutto il territorio sardo dispensano solo pillole, punture ecc. è molto riduttivo e fuorviante. I giovani colleghi che coprono i turni notturni non fanno altro che attività di assistenza primaria nelle ore in cui i medici titolari a ciclo di scelte della assistenza primaria non sono in servizio. Quindi visitano, dispensano terapia sistemica sia enterale che parenterale, fanno educazione sanitaria, piccola chirurgia, ricettazione urgente, vaccinazioni, e infine – in casi gravi – interventi di rianimazione cardio polmonare e neurologica.

A tutti i colleghi di guardia medica, soprattutto i più anziani (in particolare prima dell’istituzione del 118) durante il turno di guardia è capitato fare questi interventi salvando vite umane. A me è capitato quattro volte, e le garantisco che a distanza di 25 anni, vedere gli sfortunati incappati in accidenti cardio vascolari ancora in giro per la comunità in buona salute è una grande soddisfazione, che ripaga di tutte le critiche, spessissimo ingiustificate, sulla medicina di primo livello.

E non si risolve il problema della mancata copertura di turni, impiegando i medici Usca o Uca come ora qualcuno vuole chiamarli, che – terminato il periodo di emergenza – non hanno più ragione di esistere, creando per giunta problemi contrattuali, con un dualismo per gli stessi compiti, la CA remunerata a 23 euro e le Uca a 40 euro, con ulteriore conflitto tra professionisti.

Il nostro sistema sanitario – un tempo insieme a quello giapponese ai primi posti al mondo – negli ultimi venti-venticinque anni ha subito dei tagli finanziari intollerabili e insostenibili, da parte di tutte le parti politiche, senza alcuna differenza di responsabilità: sono dati certificati da organizzazioni terze, super partes, come la Fondazione Gimbe.

A fronte di un’aspettativa di vita tra le più alte in Europa, nonostante l’infezione da Sars-CoV-2 l’abbia messa a dura prova, abbiamo l’impiego di risorse finanziarie in rapporto al pil più basse del continente, in compagnia di Grecia, Albania e Romania. È un miracolo dovuto solo alla dedizione di buona parte dei colleghi del settore pubblico, che resistono nonostante orari e turni massacranti e rinuncia pressoché totale alla vita privata, aggravati da tre anni di pandemia.

Dopo tante promesse di rivitalizzazione di tutto il sistema, nei prossimi tre anni non solo non si aumenteranno le risorse per il SSR, ma si tagliano sino al 2026 di circa tre miliardi. Al contrario, la spesa sanitaria privata da parte dei cittadini è cresciuta negli ultimi due anni di tre miliardi, arrivando alla enorme quota di 37 miliardi di euro l’anno: più o meno un terzo della spesa pubblica statale, dando molto probabilmente un colpo mortale e definitivo alla nostra assistenza universale, che con la 833 del 1978 concedeva a tutti l’accesso alle cure in egual misura.

Come si può pensare che sponsorizzando i medici a gettone si possa salvare il tutto, senza rendersi conto che si droga il mercato professionale e porta al fallimento totale del sistema pubblico, invidiato non tanto tempo fa, da tutto l’occidente.

Si mettono in concorrenza medici del PS e della medicina d’urgenza, che si occupano dei codici rossi e arancioni, cioè i casi più gravi, guadagnando tremila euro al mese (stipendi più bassi d’Europa), con medici a gettone, che sbrigano i codici bianchi e verdi, cioè i meno impegnativi, a cui vengono offerti emolumenti quadruplicati o più, con turni molto spesso coperti da colleghi senza alcuna specializzazione (indagine magistratura in corso) o anziani ormai in pensione, o da colleghi che abbandonano il sistema pubblico, per lavorare con il sistema delle cooperative (finte), che garantiscono a fronte di un impegno professionale infinitamente inferiore, remunerazioni altissime (800-900 euro per turno di 12 ore, solo per la prestazione sanitaria!

Tra l’altro, tutto il resto è pubblico (strutture, infermieri, oss e attrezzature), creando una distorsione vergognosa e un’iniquità di trattamento tra professionisti intollerabile. Il tutto contornato da uno scarso interesse alla funzionalità del servizio e al miglioramento con l’aggiornamento continuo, argomento a cui non sono interessati i così detti medici in affitto.

E infine la medicina territoriale, non ultima per importanza. in particolare l’assistenza primaria , cioè il medico di famiglia, professione che, dopo i cinque anni di specializzazione nelle cliniche universitarie, ha occupato quasi interamente la mia vita professionale. La medicina di famiglia è la base su cui si regge il Ssn. Anni di lassismo e di abbandono hanno fatto sì che ampie parti del territorio (soprattutto nel centro dell’isola) siano prive dell’assistenza primaria, porta fondamentale per l’accesso alle cure di secondo livello e specialistiche, cittadini alla ricerca spasmodica di un medico per la prescrizione di farmaci salvavita.

Nell’Oristanese c’è una zona, il Barigadu, con 9 paesi e 6.000 cittadini senza medico di famiglia da due anni. Dall’inizio della pandemia si è ripetuta in tutte le salse l’importanza vitale di potenziare il territorio con risorse dedicate, si parla tanto di Pnrr di organizzazioni come Aft e Uccp, senza consultare gli attori principali, che dovrebbero svolgere i compiti assistenziali, cioè i generalisti: si tratta solo di strutture fisiche, e non di operatori che li volontariamente dovrebbero svolgere parte della loro attività professionale.

È possibile che nessuno si domandi come mai giovani colleghi non vogliano più svolgere il lavoro di medico di base? I bandi vanno quasi sempre deserti e nessuno si chiede come mai, nonostante in Sardegna ci sia un tasso di laureati in medicina per numero di abitanti più alto rispetto alla media nazionale. Per quale motivo la nostra professione non è più appetibile, come qualche anno fa?

Massacranti ore di ambulatorio, lunghi tempi burocratici per cose che non hanno nulla a che fare con la cura delle persone, compiti vaccinali e certificazione Covid, che non sarebbero di competenza della medicina di famiglia, rendono insostenibile la vita del medico generico. Basta dare uno sguardo al Sistema TS per rendersi conto come la nostra giornata inizia davanti al computer alle sette del mattino e termina davanti allo stesso strumento, spesso alle 22 o 23 della sera.

Forse non corrisponde alla verità che il medico di base non fa nulla e guadagna molto, come erroneamente molti pensano. Deve essere ben chiaro a tutti che il fallimento dell’assistenza primaria comporterà il fallimento del SSN, lasciando libero il campo alla medicina privata.

Negli ultimi anni ho formato cinque giovani colleghi, tre dei quali hanno fatto anche la specialità di medicina generale. Bene, nessuno dei cinque vuole svolgere la nostra attività. Molti emigrano in Veneto o in Lombardia per fare lo stesso mestiere con stipendi più che raddoppiati. Questo vale anche per la continuità assistenziale.

Si aspettano ancora mesi o anni senza cercare le soluzioni del problema. I medici di base ancora resistono in trincea da soli, senza la collaborazione di specialisti sul territorio che li aiutino a risolvere i problemi, cercando di disegnare un percorso di salute per chi soffre, con liste d’attesa lunghissime che per un banale elettrocardiogramma o ecografia vanno oltre i sei mesi, idem per buona parte delle visite specialistiche. Ciò non è degno di un paese tra i primi dieci industrializzati al mondo.

In questo modo certo non si agevola il lavoro del medico di famiglia. Come se tutto ciò non bastasse a disincentivare l’ingresso dei giovani, per il ricambio naturale dei professionisti (siamo nel settore pubblico i dipendenti con età media più alta, arriva quasi a sessanta anni), zelanti funzionari di Ares e Asl non riconoscono ai professionisti neanche le somme dovute per il lavoro svolto, con grande sacrificio, negli ultimi due anni.

L’Assessore sa che ancora non c’è stato il riconoscimento economico dovuto per le vaccinazioni Covid del 2021, non riconosciute a tutti la somministrazione dei vaccini antinfluenzali 21/22 (questa è la motivazione del fallimento della campagna vaccinale 22/23, con la popolazione anziana e i fragili che intasano i PS)? Inoltre non vengono riconosciuti istituti previsti dai vari ACN e Air, ancora disattesi in alcune Asl e in altre no, senza che nessuno dia una spiegazione valida.

Sono queste le motivazioni che già dal 2023 porteranno molti medici di base ad abbandonare il campo a 63, 64, 65 anni, non appena raggiunto il minimo contributivo per avere il trattamento pensionistico. Già oggi abbiamo circa 200 medici generalisti in meno di quelli previsti: il che vuol dire, nella nostra isola, circa 150-180 mila pazienti senza nessuna assistenza medica di base. E non si risolve certo il problema aumentando il massimale a 1.800, 2.000, 2.500 pazienti, perché con un carico tale non si riesce a dare un’assistenza medica seria, nella tanto decantata prossimità, ma si tratta solo di mera dispensazione di farmaci e presidi, senza avere il tempo di costruire un percorso di salute tale da rendere alle persone sofferenti la vita più semplice.

La crisi della medicina territoriale e del sistema emergenza urgenza è il grosso nodo del sistema sanitario isolano, perché da questi operatori dipendono gli interventi successivi di assistenza medica qualificata. La maggioranza dei colleghi della mia provincia non intende più subire senza reagire a queste iniquità: abbiamo proclamato lo stato di agitazione, e se non ci saranno risposte certe e immediate ci sarà uno sciopero, con la chiusura totale degli ambulatori. Penso che anche a livello regionale si stia arrivando alle medesime conclusioni.

Peppino Canu
Fimmg Oristano

Venerdì, 13 gennaio 2023

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