"Per mio marito il ricovero al San Martino è stato un'odissea. Perché non chiudere l'ospedale?" - LinkOristano
Sanità

“Per mio marito il ricovero al San Martino è stato un’odissea. Perché non chiudere l’ospedale?”

Dopo due giorni da incubo la provocazione: "A questo punto meglio trasferire i pazienti a Cagliari in elicottero"

Ospedale San Martino Oristano
Foto d'archivio

Oristano

Dopo due giorni da incubo la provocazione: “A questo punto meglio trasferire i pazienti a Cagliari in elicottero”

“L’ospedale San Martino di Oristano è da chiudere”. Lo dice la moglie di un paziente che nello scorso fine settimana ha affrontato un vero e proprio calvario prima di poter essere sistemato in un letto del reparto Medicina. “Abbiamo potuto verificare le difficoltà di medici e infermieri che si adoperano oltre ogni umana resistenza, sia al Pronto Soccorso che nel reparto Medicina. Ma nonostante i loro sforzi il San Martino non garantisce un’assistenza dignitosa e sicura per chi ne ha necessità”.

Da qui la proposta estrema di “chiudere il presidio e di organizzare piuttosto un sistema efficiente e rapido di trasferimento, anche in elicottero, di pazienti verso Cagliari, dove si arriva in meno di un’ora e dove si spera che l’assistenza sia quella giusta e necessaria”.   

È l’amaro sfogo della moglie di un paziente oncologico, 58 anni, al quale è stata diagnosticata una polmonite e che per due giorni ha atteso di poter essere sistemato su un letto in una camera di degenza. Un’odissea iniziata la mattina di sabato scorso quando, a causa di un malore, l’uomo ha avuto bisogno del Pronto Soccorso. 

Difficoltà già prima di lasciare la sua abitazione: “I volontari dell’ambulanza non medicalizzata inviata dal 118 hanno avuto non pochi problemi a spostare il paziente, alto e  pesante, dal letto alla barella utilizzata per trasportarlo sull’ambulanza”, racconta la moglie, Alessandra Borrodde. “Nelle manovre l’uomo è caduto dal letto ed stato necessario ricorrere a una barella a cucchiaio per sollevarlo da terra. Nel trasporto l’uomo ha poi subito anche alcune escoriazioni al braccio, che ha sfregato sulla parete”.

“Una volta sistemato sull’ambulanza”, continua la donna, “i volontari hanno comunicato che il 118 non autorizzava la partenza verso l’ospedale perché non c’era un medico a bordo. Un inconveniente risolto grazie alla disponibilità di un familiare, medico, che si è salito in ambulanza”.  

“Arrivati al Pronto Soccorso inizia l’attesa di una barella disponibile”, spiega ancora Alessandra Borrodde, “perché quelle in dotazione erano tutte occupate. In effetti in corridoio erano almeno 10 le barelle impegnate da altrettanti pazienti. Dopo oltre 40 minuti si è trovata la barella e i familiari sono stati invitati a tornare a casa, in attesa di notizie. Intorno alle 19, non ricevendo notizie, vado al Pronto Soccorso, dove mi comunicano che mio marito sta per essere ricoverato in Medicina. Saliamo quindi in reparto, dove una dottoressa comunica che, considerate le sue condizioni e quelle del reparto, strapieno, il paziente sarà trasferito in serata a Bosa”. 

Alle 22 mi metto in contatto con l’ospedale di Bosa per avere conferma del suo arrivo”, racconta ancora la moglie del paziente, “ma mi sento rispondere che non è stato trasferito né potrà esserlo per tutta la notte, visto che non c’è un’ambulanza disponibile. Stessa situazione anche al mattino del giorno dopo, domenica. Vado quindi in tarda mattinata nel reparto Medicina del San Martino, dove lo trovo sulla barella su cui ha trascorso tutta la notte, senza poter dormire e senza avere la terapia antalgica per lui indispensabile. Non gli era stata praticata neanche l’igiene personale. Dopo le proteste sono stata invitata a lasciare il reparto”.

“Nel primo pomeriggio vado in Medicina e chiedo di parlare con il medico di turno che mi dice di poter parlare solo al telefono”, va avanti Borrodde. “Mi dice esasperata di non poter fare di più, perché deve badare da sola a 60 pazienti, compresi quelli dell’area Covid. Le rispondo che vista la situazione intendiamo chiamare un’ambulanza privata per riportare mio marito a casa. La dottoressa spiega però che la terapia antibiotica di cui ha bisogno può essere somministrata solo in ospedale e così siamo costretti a lasciarlo lì”.

“Dopo le nostre rimostranze”, conclude la moglie dell’uomo ricoverato, “il paziente in tarda serata è stato finalmente lavato e trasferito su un letto, parcheggiato prima in corridoio poi finalmente in una stanza, dove è rimasto per tutta la giornata di lunedì prima di essere trasferito, martedì mattina, in un altro presidio sanitario, dove ha potuto finalmente ricevere anche la terapia antalgica di cui ha bisogno”.

Mercoledì, 13 luglio 2022

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