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Economia

Dal pomodoro coltivato nell’Oristanese l’esempio di un accordo di filiera contro il caro prezzi

Coldiretti traccia la strada da seguire: "Giusto che i maggiori costi siano spalmati e condivisi"

Generico marzo 2022
Il lavaggio dei pomodori, in una foto d'archivio

Oristano

Coldiretti traccia la strada da seguire: “Giusto che i maggiori costi siano spalmati e condivisi”

Una risposta al caro prezzi nel mondo dell’agricoltura arriva in Sardegna dalla coltivazione del pomodoro per uso industriale, che vede le aziende dell’Oristanese come principali protagoniste.

Nei giorni scorsi produttori e trasformatori hanno trovato l’accordo per 14 euro a quintale (prezzo pagato al produttore), con un incremento,rispetto alla scorsa stagione di 1,20 euro a quintale (si chiuse a 12,80). A causa della grande incertezza, secondo le analisi di Coldiretti Sardegna, si prevede comunque una produzione ridotta del 30% rispetto al 2021.

Circa 100 ettari sui 330 coltivati a pomodoro da industria, quello allungato per le conserve, si trovano nel territorio di Oristano; ci sono poi San Vero Milis, Solarussa, Cabras, Zeddiani, Serramanna, Samassi, Serrenti e Nuraminis.

L’anno scorso la Casar – dopo aver trovato l’accordo con gli agricoltori su 12,20 euro – decise poi di aumentare il prezzo e portarlo a fine annata a 12,80 euro, con un incremento di 60 centesimi, portando nelle tasche dei produttori di pomodoro 240mila euro in più.

“Anche quest’anno la Casar si dimostra concretamente vicina ai produttori”, dice Giuseppe Onnis, agricoltore e presidente di Coldiretti Samassi. “Nonostante le difficoltà ci siano anche per l’industria, condivide e si accolla con noi produttori i maggiori costi su tutta la filiera. Siamo chiamati tutti a grandi sforzi per superare e assimilare questa difficile situazione ed in questo caso stiamo condividendo un percorso insieme che ci porterà, vista proprio l’incertezza, a una riduzione delle produzioni di circa il 30% rispetto alla scorsa stagione”.

Dietro il boom dei prezzi delle materie prime e quindi dei costi per il settore agricolo e quello zootecnico c’è anche l’inizio del conflitto armato tra Russia e Ucraina, entrambi tra i maggiori esportatori di cereali. Insieme rappresentano il 29% dell’export di grano e il 19% di quello di mais.

In una settimana, dall’inizio della guerra in Ucraina, il prezzo del grano è balzato del 38,6%. Aumentato del 17% il prezzo del mais e del 6% quello della soia, destinati all’alimentazione degli animali negli allevamenti.

I dati emergono dall’analisi fatta da Coldiretti in base alle quotazioni alla borsa merci di Chicago, punto di riferimento mondiale del commercio dei prodotti agricoli. Il contratto future più attivo sul grano ha chiuso a 11,91-1/4 dollari per bushel (27,2 chili), ai massimi da marzo 2008, mentre il mais a 7,6 dollari per bushel, al top da 10 anni, e la soia a 16,78 dollari per bushel. A pesare – sottolinea la Coldiretti – è la chiusura dei porti sul Mar Nero che impedisce le spedizioni e crea carenza di offertas sul mercato.

“I prezzi stanno crescendo di giorno in giorno e stanno mettendo in seria difficoltà le aziende agricole”, spiega il presidente di Coldiretti Cagliari, Giorgio Demurtas. “Aziende che si ritrovano da una parte con costi di produzione che stanno lievitando e dall’altra con la remunerazione dei propri prodotti bloccata. La guerra, oltre agli effetti nefasti per le popolazioni coinvolte, ha delle conseguenze negative anche per la nostra agricoltura e in particolare per gli allevatori, che si ritrovano oltre con i prezzi alle stelle, con il rischio poi di non avere proprio mangime. Una situazione insostenibile a cui non bastano i soli sforzi, seppur importanti, della Regione Sardegna che sta cercando di metterci una pezza con interventi straordinari a tutti i settori agricoli”.

Gli accordi di filiera sono, secondo Coldiretti, la chiave per ridurre l’impatto devastante dell’aumento dei costi di produzione. E proprio a questi accordi il Pnrr ha destinato 1,2 miliardi di euro. “Nel progetto Sardegna che abbiamo presentato al presidente della Regione Christian Solinas e ai capigruppo del Consiglio regionale”, ricorda il direttore di Coldiretti Cagliari Luca Saba, “uno dei sette punti è quello di ri-coltivare la Sardegna, e in particolare partire dal recupero di 100mila ettari irrigui e oggi non utilizzati (dei 193mila ettari strutturati ad irriguo, oggi è utilizzato appena il 30%) per la coltivazione di mangimi di qualità, da distribuire poi all’interno di accordi di filiera tra agricoltori e allevatori sardi, con la garanzia di un prezzo equo per entrambi. Progetto da incentivare con un contributo di 200 euro a ettaro, per un intervento totale di 20 milioni di euro”.

“È un controsenso avere i campi incolti e dipendere dagli altri paesi”, aggiunte Giorgio Demurtas. “Non si tratta di politiche autarchiche ma di buonsenso. Un paradosso che in questi giorni sta emergendo in tutta la sua brutalità, con prezzi record e il rischio concreto di lasciare gli animali senza cibo, oltre a essere in balia delle speculazioni che in situazioni di crisi come questa esplodono”.

Coldiretti si appella anche a tutta la filiera, compresa la grande distribuzione, seguendo l’esempio del pomodoro per uso industriale. L’invito lanciato da Luca Saba mira a promuovere la creazione di “filiere virtuose, etiche e solidali, in cui i maggiori costi siano spalmati e condivisi, evitando di farli ricadere come sempre sugli anelli più deboli che sono ai due vertici, i produttori e i consumatori. Un altro punto del progetto Sardegna è sulla costituzione del Patto con la grande distribuzione, un tavolo di filiera del cibo in cui siano garantiti un prezzo equo a tutti e la valorizzazione dei prodotti sardi”.

Venerdì, 4 marzo 2022

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