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Sanità

I medici “eroi” già dimenticati. Ora gli chiedono indietro i soldi

Da Oristano la protesta dei camici bianchi impiegati nel servizio 118, sempre di meno, con ambulanze spesso affidate ai soli infermieri

Ambulanza Notte

Oristano

La protesta dei camici bianchi impiegati nel servizio 118, sempre di meno, con ambulanze spesso affidate ai soli infermieri

Un’altra pesante batosta si sta abbattendo in questi giorni sui circa 100 medici impegnati in Sardegna nel servizio di emergenza del 118, dopo i turni massacranti della fase pandemica, l’alto rischio di contagio nonostante le pesanti protezioni, l’inutile attesa delle indennità destinate al personale più esposto al Covid, la inesistente possibilità di carriera e di progressione economica, la cancellazione della formazione, la riduzione e l’invecchiamento degli organici. A causa di una nuova interpretazione del contratto di lavoro, imposta a livello nazionale, l’Ats ha avviato il recupero delle indennità orarie forfettarie corrisposte negli ultimi dieci anni, con una stangata che per ogni medico arriva anche a 12 mila euro. I primi ad avere il taglio in busta paga sono i professionisti del 118 impegnati in Gallura, ma la stessa sorte è attesa dai loro colleghi del resto della Sardegna. 

A dare voce al loro malessere è il sindacato Cimo, che ieri a Oristano ha riunito i delegati delle postazioni del 118 distribuite nel territorio regionale.

“Il recupero delle indennità appare come una vera e propria beffa, per quanti per contratto devono lavorare per 168 ore al mese e si trovano invece obbligati a un orario di 270 ore e piuttosto che le trattenute attendono di vedere in busta paga le indennità Covid, già riconosciute ai loro colleghi delle altre regioni d’Italia”,  denuncia Luigi Mascia, segretario regionale del Cimo, il sindacato dei medici ospedalieri che rappresenta circa la metà degli operatori del 118. 

Nella vertenza contro i prelievi in busta paga è arrivata dal Cimo l’offerta di assistenza legale, ma l’incontro di Oristano ha fornito l’occasione per discutere anche delle gravi criticità che affliggono il servizio. Primo fra tutti, quello della sempre più limitata disponibilità di medici.

“Dovremmo essere 144 con 6 medici a coprire i turni per ognuna delle 24 postazioni medicalizzate attive nell’isola – è la denuncia dei sanitari impegnati nel servizio – siamo invece circa il 30 per cento in meno, con carichi di lavoro e responsabilità accresciute dall’emergenza Covid. Da considerare che la nostra età media avanza e alcuni di noi, a causa di problemi di salute, sono ormai inidonei al servizio ”.

Nè sono arrivate le nuove assunzioni attese dopo la conclusione dei corsi per la medicina di Emergenza Urgenza, promossi dalla Regione, perchè nessuno dei medici formati si è reso disponibile a un lavoro nel 118 o nei Pronto Soccorso dell’Isola.

“E’ il logico risultato del bando per l’ammissione al corso regionale che non ha previsto l’obbligo di andare a ricoprire un posto nei servizi di emergenza, dopo la formazione”, rivela Luigi Mascia, che ancora spiega come “i giovani medici oggi hanno opportunità molto più appetibili di un impiego nei servizi di emergenza dell’Ats, poco retribuiti e con carichi di lavoro massacranti“. 

Un vero paradosso, per la Regione Sarda, che, da un lato non trova i medici di cui ha bisogno, e dall’altro si ritrova a finanziare la formazione di 60 medici destinati magari a un impiego nella sanità privata, dove al momento sono richiestissimi.  Specie dalle società   che, come già al Punto di Primo Intervento del Delogu di Ghilarza e probabilmente anche al Pronto Soccorso di Oristano, ottengono poi dalla stessa Regione e dietro elevati compensi, l’appalto del servizio di assistenza dei pazienti con codici di minore gravità e quindi minore responsabilità per i sanitari. 

“Una situazione destinata a creare anche non pochi problemi e tensioni, specie con i loro colleghi del servizio pubblico che, impegnati in ambulatori attigui e con ben altri carichi di lavoro e responsabilità, si trovano a percepire una retribuzione pari a meno della metà di quella dei loro colleghi “in affitto“,” lamentano i medici dell’emergenza sarda. 

 E intanto,  per il 118 dell’Isola, appare scontato l’ulteriore impoverimento della qualità del servizio prestato. In numerose postazioni, molti dei turni sono ormai già coperti solo dagli equipaggi “India“ (nome in codice delle ambulanze con soli infermieri a bordo) con tutti gli inevitabili rischi, specie per le richieste di soccorso di pazienti con patologie che richiedono una rapida valutazione e decisione da parte di un medico.  Un trend che sembrerebbe perfino perseguito dal vertici dell’Areus, orientati a promuovere una demedicalizzazione del servizio, sempre più affidato a volontari o società che impegnano solo infermieri a bordo delle ambulanze. 

“Di questo passo il servizio del 118, così come lo conosciamo da oltre 20 anni, è destinato a morire e così anche il patrimonio di conoscenze e abilità dei suoi operatori. – Sospira uno dei medici impegnati nel 118 in Sardegna – Tutti capaci di decisioni e azioni rapide, sia che si tratti di salvare la vita a pazienti con gravi patologie o di stabilizzarne altri, a cui risparmiare il ricovero in ospedale e evitare così anche  l’affollamento dei Pronto Soccorso.  Ognuno di noi ha perfino dovuto assistere in ambulanza almeno una donna al parto. Non c’è situazione di emergenza a cui non siamo preparati“.  

E perderli,  per tutti i sardi, sarebbe davvero un grande disastro.  

Luigi Maxia
Luigi Mascia

Sabato, 2 ottobre 2021

 

 

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