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A Oristano una mostra sul ’68: ma fu una vera rivoluzione?

Apre in Pinacoteca ed è coprodotta da Comune e Dromos Festival

A Oristano una mostra sul ’68: ma fu una vera rivoluzione?
Apre in Pinacoteca ed è coprodotta da Comune e Dromos Festival

Fu vera rivoluzione o fu, piuttosto, una catastrofe generazionale? A cinquant’anni dal ’68, anno “formidabile” e cruciale per alcuni dei suoi protagonisti, horribilis per altri – almeno per coloro che dalle barricate sono approdati a posizioni antitetiche rispetto agli ideali e alle utopie di allora –, la Pinacoteca comunale “Carlo Contini” di Oristano si inserisce, con un approccio originale, nel dibattito che, giocoforza, sta caratterizzando e accendendo gli animi per le celebrazioni del suo cinquantenario.

In sintonia con la XX edizione del Dromos Festival la mostra “68/Revolution, memorie, nostalgie, oblii”, la quale vengono affrontati, col linguaggio polimorfo e dissonante dell’arte contemporanea, propone l’oramai vexata questio all’attenzione di artisti tutti piuttosto giovani e tutti particolarmente attivi nel panorama sardo, nazionale e internazionale che, per ovvie ragioni anagrafiche, tale periodo non hanno vissuto.
Quali e quante tracce di memoria sono rimaste di quel periodo che voleva rivoluzionare il mondo portando al potere l’immaginazione? Quali e quanti sedimenti si sono depositati nella coscienza delle nuove generazioni? Si tratta, pertanto, di un approccio diverso e inedito tra le tante mostre e iniziative dedicate al ’68, attraverso le più spericolate ricerche estetiche contemporanee, che si nutrono di ibridazioni crossmediali finalizzate a liberare i diversi ambiti artistici dai loro consueti recinti e dalle loro funzioni canoniche, un confronto non lineare e per nulla univoco su un controverso momento storico, culturale e sociale, tra memorie, nostalgie e oblii.
Curata da Chiara Schirru e da Ivo Serafino Fenu, coprodotta dal Comune di Oristano – Assessorato alla Cultura e da Dromos Festival in collaborazione con AskosArte, col contributo della Fondazione di Sardegna, la mostra esporrà opere di importanti artisti del panorama internazionale, nazionale e sardo:
Alessio Barchitta (Barcellona Pozzo Di Gotto, ME, Alessandra Baldoni (Perugia), Emanuela Cau (Cagliari), Pierluigi Colombini (Oristano), Melania De Leyva (Venezia), Roberta Filippelli (Alghero, SS), Roberto Follesa (Donori, CA), Federica Gonnelli (Firenze), Rebecca Goyette (New York), Gut Reaction (Giulia Mandelli e Marco Rivagli, Berlino), Michele Marroccu (Oristano), Tonino Mattu e Simone Cireddu (Oristano), Narcisa Monni (Sassari), Federica Poletti (Modena), Carlo Alberto Rastelli (Parma), Valeria Secchi (Sassari), Nicko Straniero (Oristano), Terrapintada (Bitti, NU).

La mostra verrà inaugurata sabato prossimo 28 luglio alle 19.30 e rimarrà aperta fino a mercoledì 17 ottobre.

Scrive, nella presentazione della mostra, Ivo Serafino Fenu: “Ma se l’eredità del ’68 è misurabile e palpabile in una dimensione che afferisce alla “biopolitica” – «nei figli nati dal diritto all’aborto, finalmente voluti e non subiti da madri sole, genitori gay, famiglie ricomposte, multietniche, rifugiate, nell’infanzia che, crescendo, rovinerà la rovina presente e darà torto al nostro pessimismo» (Claire Fontaine) –, più controverso è misurarne la portata in ambito artistico.

Ce n’est pas qu’un debut fu, oltre al già citato “l’immaginazione al potere” coniato da Herbert Marcuse, uno degli slogan più fortunati e, per certi versi, più abusati, di quegli anni e, tuttavia, non può non far riflettere l’osservazione che «di fatto, il ’68 non ha prodotto nessun movimento artistico, ma è stato l’inizio della destabilizzazione e destrutturazione dell’arte. È stato l’inizio della mescolanza tra arte istituzionale e outsider art. E quindi l’inizio della fine non solo dell’università, delle professioni e di molte altre cose … ma anche dell’arte» (Mario Perniola), almeno di una certa idea dell’arte: ai giovani artisti di oggi, dunque, il compito non facile di confutare tale ultimativa e pessimistica osservazione, ricordando, magari, le esperienze estetiche, ora rivoluzionarie ora fallimentari, dei loro padri”.

Chiara Schirru, cocuratrice della mostra per AskosArte: “L’arte e la cultura vivono dentro gli accadimenti, li nutrono e se ne nutrono: contribuiscono a perpetuare le dinamiche politiche e sociali, a volte messaggere di un’ideologia che riflette il potere della classe dominante, a volte in aperto contrasto con essa. Gli artisti engagés degli anni Sessanta racchiusero entrambe queste peculiarità.
C’è un’opera del 1968 di Luciano Fabro, L’Italia rovesciata, che evoca l’Italia di quel fragile periodo storico, luminoso di cultura ma pervaso da pulsioni rivoluzionarie in cui emerse, con urgenza improcrastinabile e in linea con l’evolversi degli eventi storici mondiali, la necessità di un cambiamento radicale del vivere quotidiano. Un vento sovversivo capace di minare il sistema istituzionale in ogni sua parte che trasformò il Paese, tra sogni e false ideologie, in un campo di battaglia: insomma, un’Italia rovesciata.
Nell’ambiente intellettuale si innescò un acceso dibattito sul ruolo dell’Arte e dell’artista all’interno della società e sulla necessità di un rinnovamento. Il diktat imponeva l’azzeramento di tutto, ma annullare il passato specialmente nel Belpaese, era impresa affatto facile. Ci sono momenti, però, in cui lo spirito critico si fa Rivoluzione per vedere la luce, e quel momento sembrava arrivato”.

La locandina

Martedì, 24 luglio 2018

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