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In Pinacoteca mostra antologica dedicata a Marco Pili

Verranno proposte a Oristano oltre 180 opere dell'artista originario di Nurachi

In Pinacoteca la prima mostra antologica dedicata a Marco Pili
Verranno proposte a Oristano oltre 180 opere dell’artista originario di Nurachi

Marco Pili in una foto di Max Solinas

Prorogata fino a domenica 15 luglio la mostra“Finis terrae, Marco Pili 1990-2018”, a cura di Ivo Serafino Fenu. Prodotta dal Comune di Oristano – Assessorato alla Cultura, col contributo della Fondazione di Sardegna e in collaborazione con la Fondazione Sa Sartiglia.

Inaugurata lo scorso 21 aprile, nella Pinacoteca “Carlo Contini” di Oristano, la prima grande antologica dedicata all’artista originario di Nurachi ha riscosso un successo di pubblico e di critica tale da indurre gli organizzatori a posticiparne la chiusura, anche per dare ai turisti presenti nell’oristanese la possibilità di usufruire di un evento culturale legato all’arte contemporanea, ma con forti e originali legami con l’ambiente e la Sardegna.

La scheda. Marco Pili nasce a Nurachi nel 1959. Studia a Oristano presso l’Istituto d’Arte ottenendo il Diploma nel 1977 sotto la guida, tra gli altri, dell’artista Antonio Amore, al quale, nella presente mostra, renderà più volte omaggio. Inizia la sua prima ricerca in ambito figurativo abbandonandolo dopo alcuni anni per rivolgere la sua attenzione verso un’arte astratta e informale, con un’attenzione alla cultura materiale della propria terra. Dal 1985 inizia a inserire e manipolare nelle sue opere il pane carasau, le terre, il sangue di bue e qualsiasi altro elemento, naturale e artificiale.

di Ivo Serafino Fenu
Vi sono territori che vanno percorsi con timore e reverenza: sono i territori del sogno, sono i luoghi nei quali la realtà diventa altro da sé, sono una conturbante metafora della vita. Vi sono scrittori che questi territori li hanno raccontati in una dimensione sospesa tra mito e storia, ne hanno fatto il teatro dell’epopea del popolo sardo, un’epopea che narra di genti che su quella terra dipanavano le loro umane fatiche e costruivano la loro leggenda: «Passavamo sulla terra leggeri come acqua […] come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta» (Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, 1996). Vi sono artisti che, infine, questi territori li raccontano visivamente con la potenza manipolativa e trasversale dell’arte contemporanea, al di là dello stereotipo della pittura di paesaggio e oltre i generi consolidati della tradizione. Sono, per questo, “agrimensori di sogni” che superano la descrizione con la forza trasfigurante dell’evocazione. Marco Pili è uno di loro e raggiunge analoghi risultati concretizzando visivamente quel sogno chiamato Sardegna, una terra, la sua, con la quale mantiene da sempre un rapporto osmotico, quasi uterino. E quando non è terra sono i suoi frutti: tra le opere presenti in mostra, in un percorso cronologico che parte dai primi anni ’90 del secolo scorso e giunge fino noi, ci si imbatte in alcune tra le sue creazioni più originali, quelle che utilizzavano il pane come elemento fondante della sua ricerca estetica. Il pane carasau con Pili, alchimista della materia, si trasforma in crosta rugosa e screpolata, in superficie annerita da bruciature, lacerata da tagli e cicatrici che scoprono magmi arroventati e carne viva. Sono paradigmi di una tormentata condizione interiore e ambientale, una denuncia e un urlo per una natura violata, appena mitigati da un sapiente impianto astrattoconcretista o raggelati e imbalsamati da spessi strati di paraffina, in un simbolismo che trasforma il pane da cibo per il corpo a nutrimento dello spirito. Un rosso incombente e drammatico caratterizza, invece, la serie dedicata alla celeberrima opera di Gershwin Porgy and Bess, qui documentata da Picnic e Uragano all’isola di Kittiwah: rosso è il sangue animale che intride la terra e rosso è il sangue che segna i momenti topici della vicenda dei protagonisti, rosso è, di conseguenza, il tessuto pittorico articolato in piani geometricamente definiti e plasticamente sincopati, insolitamente arabescati da grumi di figurazione affioranti dal subconscio dell’artista. Le ultime opere, infine, con l’uso sempre più insistito di terre, sabbie, reperti minerali e vegetali, lacerti e impronte di tessuti, liquide velature di colore e resine sintetiche, sono veri e propri pezzi di Sardegna, frammenti di sogno ricreati con una prassi manipolativa degna di un pittore d’altri tempi ma con una consapevolezza della contemporaneità vitale e problematica, che fa di ogni opera un territorio pregno di suggestioni, segni e allusioni a una realtà profondamente trasfigurata. Ognuno di essi è una sorta di Finis Terrae, un punto mitico e reale al contempo, davanti a un “grande blu”, misterioso e seducente.

Lunedì, 16 aprile 2018

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