"Mafiosi in doppiopetto? No, portano ancora la coppola e usano la lupara" - LinkOristano
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“Mafiosi in doppiopetto? No, portano ancora la coppola e usano la lupara”

Nando Dalla Chiesa a Oristano incontra gli studenti dell'Istituto De Castro

Oristano - De Castro - Incontro Dalla Chiesa

“Mafiosi in doppiopetto? No, portano ancora la coppola e usano la lupara”
Nando Dalla Chiesa a Oristano incontra gli studenti dell’Istituto De Castro

Nando Dalla Chiesa con la professoressa Sabrina Sanna – Foto di Eleonora Frongia

Per combattere la mafia, bisogna capire innanzi tutto cosa sia e gli studenti del Liceo Classico De Castro di Oristano e di Terralba hanno avuto la possibilità di farsi spiegare questo grave fenomeno che ancora pesa sulla vita italiana, e non solo, da un interlocutore speciale: Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, vittima di mafia, assassinato quando era prefetto di Palermo.

Nando Dalla Chiesa, docente di Sociologia della Criminalità Organizzata presso l’Università Statale di Milano e bocconiano con laurea in economia, ha alle spalle anche una lunga carriera politica, come parlamentare e deputato: è  stato, tra le altre cose, sottosegretario di Stato del Ministero dell’Università e della Ricerca. «Io ho lavorato tanto, quando stavo a Roma, ma non ho ottenuto proporzionalmente a quanto dato», ha commentato con un pizzico di malcelato dispiacere Dalla Chiesa.

«Ho l’onore di essere un amico di Nando dalla Chiesa e ho la certezza che, una volta usciti da questa conferenza, avremo tutti qualcosa in più», ha esordito il preside Pino Tilocca, davanti a un centinaio di ragazzi del De Castro, riuniti a Oristano, nel presentare  il qualificato ospite. Ha moderato la conferenza la professoressa Sabrina Sanna, insegnante di lettere del triennio del liceo, che, da circa un anno, si sta occupando di intrattenere brillanti dialoghi coi tanti ospiti che il De Castro invita. Quella che segue è l’intervista da lei realizzata durante la conferenza.

Cos’è la mafia?
«È una forma di esercizio del potere, presentato come qualcosa di vero, legale. Ma, in verità, il potere mafioso non si basa sui diritti delle persone: è anticostituzionale, violento. La mafia porta bruttezza e squallore. Da poco, è capitato di recarmi in un quartiere di una città della Campania, quasi del tutto realizzato dalla criminalità organizzata. I ragazzi del posto si sono lamentati perché, in queste zone residenziali, mancano parchi, campi da calcio, strutture ricreative. Ecco, si può dire anche che la mafia non pensa al bene comune».

La mafia esiste anche al Nord?
«Il fatto che la mafia esista solo al Sud è un pregiudizio che va smentito. La mafia si spinge aldilà di dove pensavamo fosse possibile. Non molto tempo fa, molti mafiosi sono stati condannati al confino. Questi criminali venivano cioè portati in altre regioni, anche quelle del Nord, nella speranza che non potessero più delinquere. Questo principio, apparentemente buono, non si è rivelato funzionante, ma anzi ha contribuito alla propagazione dell’illecito».

Come agisce la mafia?
«La mafia colonizza i territori. Ma non come le legioni romane o servendosi di propaganda: al contrario, i mafiosi agiscono come un’armata silenziosa. Non si vedono, ma conquistano».

Qual è l’identikit del mafioso di oggi?
«Ai miei studenti racconto sempre una gag che trovo comica. Molti studiosi, che spesso incontro in vari convegni, quando descrivono il mafioso, parlano di questo criminale così: “Il mafioso non è più quello di una volta. Quello con la lupara e la coppola. Oggi, il vero mafioso veste in doppiopetto, gira con la valigetta, prende le decisioni nei piani alti dei grattacieli della City (ndr, Londra), parla fluentemente in inglese, manda i figli nelle università di Boston e Oxford”. Non esiste nessun mafioso, dati alla mano, che abbia queste caratteristiche. Prima di tutto, la coppola è utilizzata ancora dai mafiosi (e non), e anche la lupara. E poi questi delinquenti vestono in tuta. Per non parlare dei luoghi in cui la criminalità organizzata sceglie come agire. I mafiosi prendono le decisioni nei bar e tuttalpiù nelle pizzerie o nella associazioni e non parlando in inglese, ma in dialetto. Inoltre, nessuno dei figli dei mafiosi è immatricolato a Boston o a Oxford. Noi diamo la definizione di mafioso elegante perché non vogliamo riconoscere che essi sono intorno a noi: il nostro è un atteggiamento auto assolutorio».

Come educare quindi i giovani alla legalità?
«Non servono più di tanto ore sulla legalità, che insegnino perché timbrare il biglietto, ma comprendere il valore delle istituzioni e di chi ci lavora».

Che valore ha la memoria?
«La storia in generale ha un valore altissimo. Non dobbiamo dimenticarci il nostro passato. E specialmente, stiamo attenti: non vogliamo e possiamo scordarci chi siamo».

La famiglia serve ancora?
«Sì. I valori condivisi sono necessari. Le tavole devono continuare a essere luogo di discussione e la famiglia deve tramandare la memoria. Le istituzioni contano però più di ogni affetto. Basti pensare che io, a causa degli ordini di trasferimento, ho dovuto frequentare il liceo classico in quattro scuole superiori differenti. E non ricordo mie lamentele circa questi cambiamenti, perché lo Stato viene prima di tutto. Sì alla famiglia, no al familismo».

Che ricordo ha di suo padre?
«Mio padre non mi ha mai parlato della Costituzione. L’ho visto mentre la praticava. E lui girava nelle scuole per parlare di giustizia e di mafia. Ma era ostacolato da molti, anche da alcune autorità».

Ostacolato?
«Sì. E non fu l’unico. Ad esempio, Falcone fu ostacolato dall’odio sprezzante che tante persone nutrivano nei suoi confronti. E anche dall’isolamento cui veniva sottoposto. Molta gente provava un’ostilità immotivata verso di lui, che si traduceva pure in giochi macabri compiuti da alcuni bambini palermitani: ci si divertiva a fare i RIS e ad immaginare di trovare il cadavere di Falcone nelle strade. Falcone, era assodato, sarebbe morto. E la gente scoprì l’importanza del suo operato soltanto quando furono celebrate le sue esequie».

E Borsellino soffriva la solitudine?
«Borsellino era già meno solo di Falcone.»

Parliamo di Emanuela Loi, su cui lei ha scritto un’opera?
«Emanuela è stata una grande poliziotta, che ha amato il suo dovere e il suo paese».

Al termine dell’intervista, il professor Dalla Chiesa ha elogiato i giovani alunni del De Castro, per il rispetto mostrato nei suoi confronti: «Anche grazie a esperienze con alunni come voi, sono sicuro che quello del professore è un mestiere sceso dal cielo!».

(A cura di Alessio Cozzolino)

Mercoledì, 28 febbraio 2018

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