La Sartiglia, ecco com'era una volta - LinkOristano
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La Sartiglia, ecco com’era una volta

Un articolo di Beppe Meloni, tra storia e ricordi

Sartiglia 16

La Sartiglia, ecco com’era una volta
Un articolo di Beppe Meloni, tra storia e ricordi

Foto di Mauro Orrù

Beppe Meloni


di Beppe Meloni

Mirabile l’intuizione del canonico Dessì di incanalare questa accesa rivalità in una giostra, la Sartiglia, secondo le regole dei tornei cavallereschi del tempo, finanziata da un cospicuo lascito a favore del Gremio dei Contadini, insistente sui territori di Is Pastureddas e Chirigheddu. Si racconta che persino rari eventi astronomici, come un’eclissi di sole, accompagnarono quella che fu la prima corsa il 4 febbraio 1543, quando il corteo dei cavalieri, capocorsa in testa, attraversò per la prima volta la piazza della Cattedrale con incedere lento e regolare, sfoggiando abilità e destrezza. In deroga alle consuetudini del tempo, potevano partecipare alla corsa anche gli aderenti alle due Confraternite, ma la corsa all’anello era un onore riservato ai cavalieri e ai gentiluomini. Una giostra festosa, che accomunava ceti sociali, popolo e nobili, incruenta e priva di quei caratteri violenti che caratterizzavano manifestazioni simili. Quasi un diversivo capace di strappare il popolo dalle bettole e dal vino, facendolo divertire senza spargimenti di sangue.

Andate a rileggervi il saggio che l’editore Silvio Pulisci ha scritto nel lontano 2003 sul periodico oristanese “Eleonora” diretto da Filippo Martinez. Dove, in un suggestivo affresco storico mette in risalto le differenze intervenute in questi anni nell’esecuzione del rito cavalleresco. Ancora oggi Pulisci si accalora mentre parla dell’incrocio delle spade, e soprattutto della consegna de “su stoccu” da parte de Su Componidori a Su Segundu: “Il capocorsa e i cavalieri convenuti non sono liberi di fare come vogliono ma devono rispettare le regole della Giostra, l’incrocio delle spade non è un saluto ma una sfida , vera anima del torneo, estesa solo a pochi altri”.

Silvio Pulisci mostra i disegni di Nicola Tiole del primo Ottocento che qualificherebbero in chiave femminile il cappello a cilindro e il velo de su Componidori, rafforzando un’identità di genere indefinito. Con il conforto di una bibliografia autorevole ricostruisce l’antico percorso di su Componidori, che da “Porta a’ Mari” attraversa la “Contrada Eleonora” e si porta davanti al Duomo per cogliere la Stella, al cospetto del Capitolo arborense. Iniziando la discesa con la schiena ferma sul dorso del cavallo, simulando l’atto di schivare i ferri dei nemici in combattimento, per elevarsi solo per infilzare la stella. E chiudendo la corsa con un ampio gesto delle braccia che libera profumo e fiori sulla folla, sciogliendo una volta per tutte l’alone di sacro che non gli appartiene.

Tutto vero e condivisibile, ma in questa sorta di profanazione del rito che si perpetua, avvenuta ormai da più parti nel tempo, l’unico che può riscattare la verità è ancora una volta “Su Componidori”. Che con un gesto cavalleresco, può incarnare e far vivere coraggio, eleganza, ardimento e bellezza.

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