Carceri sarde come bombe a orologeria. Problemi anche a Oristano - LinkOristano
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Carceri sarde come bombe a orologeria. Problemi anche a Oristano

Mozione in Regione del gruppo Pds e della maggioranza. Si chiede l'intervento del Governo e del Parlamento

Massama carcere

Carceri sarde come bombe a orologeria. Problemi anche a Oristano
Mozione in Regione del gruppo Pds e della maggioranza. Si chiede l’intervento del Governo e del Parlamento

Mozione in Consiglio regionale del Gruppo Partito dei Sardi e della maggioranza sulla carceri sarde dove si registrano gravi problemi: risse, suicidi, sovraffollamento e personale insufficiente. Secondo i proponenti le carceri isolane sono come bombe a orologeria ed è necessario che Governo e Parlamento adeguino gli organici e risolvano i problemi dei penitenziari. Oristano non fa eccezione. Nella mozione si ricorda che sono presenti solo 140 agenti della polizia penitenziaria a fronte di 210 previsti in organico.
Di seguito la nota diffusa dal Pds.

Il carcere di Massama

Il Gruppo PdS in Consiglio regionale, con Roberto Desini primo firmatario, ha presentato una mozione sottoscritta da tutte le forze di maggioranza, con cui si impegna il presidente Pigliaru e la Giunta regionale «a farsi parte attiva presso il Governo e il Parlamento nazionali affinché si facciano seriamente carico dei problemi del sistema penitenziario sardo e, sopperendo alle ormai croniche carenze di organico del personale della polizia penitenziaria e delle altre figure professionali prescritte dalle Regole penitenziarie europee, garantiscano agli istituti presenti nel territorio regionale le risorse umane necessarie ad assicurare l’ordine e la sicurezza al loro interno e l’effettiva programmazione e realizzazione di idonee attività finalizzate al reinserimento sociale dei reclusi».

Una richiesta che parte dalle due sentenze con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia (sentenza Sulejmanovic del 2009 e sentenza Torreggiani del 2013) riconoscendo che la situazione del sovraffollamento carcerario rappresenta nel nostro Paese un problema sistematico e strutturale e ingiungendo, pertanto, allo Stato di introdurre idonei rimedi. E la Sardegna è tristemente l’emblema dei problemi degli Istituti penitenziari italiani.

Le carceri sarde a oggi ospitano complessivamente circa 2.308 detenuti;

– nell’ultimo anno le persone recluse nelle strutture detentive della Sardegna sono aumentate almeno di 221 unità mentre i posti letto risultano, per vari motivi, diminuiti;

– negli istituti di Cagliari-Uta si contano circa 620 ristretti per 561 posti letto (tanto che nel carcere di Uta in quasi tutte le sezioni si è reso necessario collocare nelle celle una quarta branda), a Sassari-Bancali 504 ristretti per 454 posti letto, a Lanusei 42 ristretti per 33 posti letto, a Oristano-Massama 273 ristretti per 260 posti letto e a Tempio 171 ristretti per 167 posti letto;

– all’evidente problema della sovrappopolazione carceraria si aggiunge il fatto che negli istituti di Sassari e Nuoro sono presenti numerosi detenuti in regime di 41 bis e di alta sicurezza;

– in particolare, nel carcere di Bancali sono presenti ben novanta detenuti sottoposti al 41 bis e addirittura venticinque detenuti sottoposti al regime particolare di sorveglianza per i presunti legami con le organizzazioni terroristiche di matrice jihadista;

– ciò significa che a Bancali si trova oltre la metà dei detenuti nelle carceri italiane per delitti connessi al terrorismo internazionale, tra i più pericolosi, se si pensa che un detenuto rientra nei primi trenta superjihadisti della black list stilata dall’allora Presidente degli USA, Obama;

– il carcere di Bancali è monitorato per le attività di proselitismo di alcuni soggetti collegati a organizzazioni islamiche estremiste e il fatto che siano limitati i contatti tra i detenuti sospettati di attività di proselitismo e gli altri musulmani ivi ristretti costituisce un elemento suscettibile di accrescere la tensione nell’ambiente carcerario.

Le cose non vano meglio se si analizza l’organico della polizia penitenziaria e il numero degli educatori che operano negli istituti dell’Isola:

– complessivamente la pianta organica della polizia penitenziaria in Sardegna prevede circa 1.800 unità, mentre oggi la polizia penitenziaria conta soltanto 1.100 unità ed è quindi fortemente sottodimensionata;

– solo all’istituto di Bancali occorrerebbero almeno altri 150 agenti oltre a quelli attualmente in servizio: l’istituto, infatti, dovrebbe avere in servizio 415 poliziotti, ma al 15 dicembre 2016, secondo i dati del Provveditorato della Sardegna, figuravano soltanto 243 poliziotti e risultavano assenti per malattia 38 unità;

– come recentemente evidenziato dalla stampa, a Bancali almeno una cinquantina di agenti penitenziari nell’ultimo anno hanno dovuto assentarsi per malattia per motivi variamente imputabili a stress lavoro correlato;

– analoghe carenze si riscontrano, da tempo, nelle altre strutture, dato che nel carcere di Oristano sono presenti circa 140 poliziotti su 210 previsti, a Tempio Pausania circa 90 su 158, a Badu’e Carros la carenza di organico è approssimativamente del 35 per cento.

Tutto ciò contribuisce a rendere le carceri sarde invivibili, pericolose e inutili dal punto di vista della riabilitazione sociale dei detenuti:

– in presenza di simili carenze di organico e, contestualmente, di un insostenibile sovraffollamento carcerario, risulta quasi impossibile poter garantire le attività trattamentali ai detenuti, e perciò la maggior parte dei detenuti trascorre quasi tutto il giorno in cella, senza o con limitata possibilità di accedere alle attività sportive, lavorative e ricreative, con negative e pericolose conseguenze soprattutto in presenza di disturbi psichici e dipendenze da alcool o sostanze stupefacenti;

– da un recente studio che ha coinvolto sei regioni italiane sui bisogni di salute di 16.000 detenuti (1/3 della popolazione penitenziaria) è risultato che il problema del disagio mentale è molto rilevante ed affligge oltre il 40% dei reclusi e che per assicurare un sistema integrato di prevenzione e promuovere piani di intervento sul disagio e la prevenzione del suicidio negli istituti penitenziari è necessario incrementare le risorse umane ivi operanti e promuovere il coordinamento tra le diverse figure professionali;

– il 4 febbraio 2016 è stata adottata la circolare GDAP 042087 “Misure di prevenzione dei suicidi delle persone detenute” che, tra le altre cose, evidenzia proprio la necessità di un coordinamento tra le figure professionali operanti a contatto con i detenuti;

– nonostante gli studi, i gruppi di lavoro e le circolari più recenti abbiamo riconosciuto l’importanza fondamentale della presenza negli istituti penitenziari di figure professionali specializzate nella gestione dei disagi psichici, oltre alla carenza di organico degli agenti penitenziari si rileva, tuttora, la mancanza di un numero adeguato di educatori e altre figure specialistiche prescritte dalle Regole penitenziarie europee;

– a Uta nel 2016 -secondo quanto riferito dall’Associazione Socialismo, diritti e riforme- si sono verificati ben 61 tentativi di suicidio, di cui due riusciti, 29 risse, 11 feriti e 133 episodi di autolesionismo e che negli ultimi mesi si assista a un’escalation di disordini e violenza all’interno dell’istituto;

– il 10 marzo 2017 un recluso ha tentato il suicidio per poi aggredire gli agenti intervenuti per salvarlo; nella stessa giornata, un detenuto ha ingoiato una lametta e tentato di aggredire un agente; pochi giorni dopo è stato aggredito un medico; a maggio un detenuto si è tolto la vita; alla fine di luglio si è verificato un altro tentativo di suicidio; il 18 agosto un recluso ha appiccato un incendio; il 19 agosto è esplosa una rissa tra detenuti, con allagamento di un’intera sezione; il 21 agosto è scoppiata una rivolta sfociata in barricate nel braccio “Cagliari” e uso di idranti per sedarla;

– ad aprile 2017 nel carcere di Badu ‘e Carros un detenuto appartenente alla criminalità organizzata ha aggredito un agente;

– nel carcere di Bancali tra maggio e giugno si sono verificati un suicidio e un tentato suicidio.

E questi sono solo alcuni esempi dei gravi fatti denunciati a più riprese dalle organizzazioni sindacali nei loro molteplici appelli, rimasti finora inascoltati, in primo luogo dal Governo nazionale, il quale non sembra intenzionato a occuparsi seriamente del problema, dato il taglio dell’organico penitenziario imputabile alla cosiddetta Legge Madia e il recente piano ministeriale di assunzioni assolutamente inadeguato rispetto alle reali esigenze delle carceri italiane in generale, e sarde in particolare.

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