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Al Classico si parla di immigrazione col giovane fuggito dall’Afghanistan

L'incontro con Alidad Shiri raccontato da Alessio Cozzolino

Oristano - Liceo Classico - Alidad-X1

Al Classico si parla di immigrazione col giovane fuggito dall’Afghanistan 
L’incontro con Alidad Shiri raccontato da Alessio Cozzolino

Alidad Shiri

Prosegue, con successo, l’attività di sensibilizzazione dei giovani alunni del Liceo Classico De Castro di Oristano circa il fenomeno immigratorio. Tutti i giovani della nota scuola oristanese nei giorni scorsi si sono riuniti in assemblea nella palestra dell’Istituto per parlare dell’emergenza umanitaria del ventunesimo secolo: lo sbarco di migranti, ossia di persone disperate che cercano protezione nel mondo occidentale.

A tale scopo, il Comitato studentesco del De Castro ha deciso di invitare Alidad Shiri; egli, infatti, è un rifugiato politico, scappato dalle terribili violenze del paese in cui risiedeva precedentemente: l’Afghanistan. Dopo una breve presentazione dell’argomento attraverso le slides dell’UNCHR e un sentito ringraziamento al preside Pino Tilocca, Shiri ha raccontato schiettamente la sua terribile Odissea, davanti alle facce sbigottite dei giovani interlocutori. “Ho trascorso i primi anni della mia vita tranquillamente”, ricorda l’Afghano, “ero come voi. Avevo una mamma, un papà, una sorellina e degli amici. I miei potevano offrirmi una vita dignitosa”, aggiunge. “Poi, un giorno, accadde l’inspiegabile. Poiché mio padre era un importante capo militare, una carica che vale molto nella mia nazione, gli era stata affidata una guardia del corpo che salvaguardasse la sua incolumità. Tuttavia, mentre tornava a casa con la vettura, fu fatto saltare in aria per mezzo di una mina. Papà morì assieme all’agente che lo proteggeva”. La voce di Alidad s’incrina. Poi riprende: “Non capivo perché fosse capitato a me”. Purtroppo per Alidad – a causa di un bombardamento dei Talebani – la morte si insinuò nuovamente nella sua tormentata esistenza strappandogli madre, sorella e nonna. In quel momento, nella vita del rifugiato si aprì, con irruenza, un mondo diverso da quello che pensava gli fosse destinato: con l’aiuto della zia, si trasferì in Pakistan ove, pagando ingenti somme di denaro agli scafisti e transitando in Iran e in Turchia, riuscì a raggiungere – sempre con mezzi di fortuna – la Grecia. Dal paese ellenico, aggrappandosi all’asse di rimorchio di un tir, partì verso il Belpaese. Raggiunse, dunque, Venezia e continuò il percorso, questa volta come pedone, sulla strada fino a Brunico e Fortezza. Qui venne prelevato celermente da una volante dei Carabinieri e condotto al Kinderdorf (lett. villaggio del fanciullo) di Merano. Era minorenne. “Io volevo studiare. In Afghanistan, essendo benestante, avevo frequentato due corsi scolastici: uno coranico (la madrasa) e l’altro tradizionale. Non volevo non continuare. Frequentai in Italia la scuola secondaria di primo grado ed un istituto professionale. Ero determinato: mancava solo l’Università per completare il mio percorso formativo. All’inizio, volevo iscrivermi presso la Facoltà di Giurisprudenza. Poi scelsi Filosofia Politica. Attualmente, mi mancano solo due esami per laurearmi. E voglio difendere i diritti delle persone”. Al termine dell’incontro, gli studenti sono stati congedati. E, forse, sono tornati a casa con occhi nuovi: occhi capaci non solo di osservare, ma di guardare attentamente una triste realtà che, ogni giorno, ci ricorda la sua esistenza.
(ALESSIO COZZOLINO)

Sabato, 22 aprile 2017

 

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