Maria Loi, dal Barigadu alla Marmilla sino ai mari di Moby Dick - LinkOristano
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Maria Loi, dal Barigadu alla Marmilla sino ai mari di Moby Dick

Ritratto della brava attrice cresciuta nell'oristanese

Maria Loi

Maria Loi, dal Barigadu alla Marmilla sino ai mari di Moby Dick
Ritratto della brava attrice cresciuta nell’oristanese

di Marcello Atzeni
da tottusinpari.blog.tiscali.it

Loi

Maria Loi

Sentire la voce di Maria Loi al telefono, è un delitto. Senza castigo. Per quanto si possa avere tra le mani un modello di ultima generazione, rimane sempre una scatola che tiene in ostaggio una sequenza di onde sonore, che una volta rese libere, mai potranno essere trasportate fedelmente e depositate nell’orecchio di chi sta dall’altra parte. Sarebbe come pretendere di provar piacere nel baciare Penelope Cruz, mettendo tra le vostre labbra e le sue, non un apostrofo rosa, ma uno spesso velo di alluminio.

La giornata tropicale è un sudario, la Carlo Felice un calvario. E il traffico di Cagliari? Una prova di resistenza umana. Ma quando necessità impone, non rimane scelta che rotolare verso il capoluogo. L’attrice originaria del Barigadu, entrambi i genitori di Ula Tirso, dopo  Morgongiori, paese con una finestra sul Monte Arci e Oristano, si è trasferita a Cagliari. In realtà Maria non abita in una casa. Si materializza, da un numero imprecisato di anni, in qualsiasi palcoscenico valga la pena calpestare acari e polvere. Di stelle e non.

Di una pignoleria maniacale. Perfezionista. Lo avverti mentre guardi la sua mimica facciale e le sue mani da prestidigitatrice. Sono come il mare che lei adora. Non si fermano mai. Ogni scatto delle falangi è una piccola marea, che racconta di tempi andati e dà l’impressione che mille ondate dovranno ancora venire. Ancora più impetuose, ma allo stesso tempo bonarie. Maria pizzinna, come la chiamano, è profondamente radicata alla natura. Il mare, certo, ma anche il vento che le scompiglia i capelli, e lei se ne frega di rimetterli a posto. Tanto il vento fa quello che vuole. Proprio come lei.

“Ho il fuoco dentro” ama dire. E il crepitìo lo senti, non è un incendio che devasta ma un tepore che scalderebbe perfino le più gelide notti invernali. Incrociare il suo sguardo è pericoloso. Meglio attraversare un passaggio a livello incustodito. I lampi emessi dai suoi occhi cangianti, ti costringerebbero a una visita dall’oculista.

Dopo il Liceo scientifico a Oristano, si iscrive nella Facoltà di lettere, a Cagliari. Ma la strada che vuol percorrere è un’altra. La ragazza che il Tirso ha portato in Marmilla prima e basso Campidano poi, ha un sogno: trucco e parrucco. I sogni sono desideri che vanno coltivati, proprio come lei oggi coltiva nel tempo libero, la vigna di Ula, messa a dimora da mamma Italina e cresciuta tra spicchi di sole, sberle di vento e concerti di passeri e gruccioni. Maria si vede ancora pizzinna nella sua casa di Morgongiori. Quando tutti vanno a letto, lei si rialza, accende la tv e guarda i film. Quelli in bianco e nero. Ma più che dalle immagini, è attratta dalle voci di dentro. Escono dal tubo catodico, rimbalzano nelle pareti e finiscono al suo interno. Troppi i suoi maestri per poterli citare tutti, proprio come i capi di imputazione di Tuco ( Cfr. Il buono, il brutto e il cattivo), condannato all’impiccagione. Lindsay Kemp, Piera Degli Esposti, Giorgio Albertazzi, Luigi Squarzina, Dario Fo, Rino Sudano… Il suo curriculum è lungo e variegato. Interpreta con la stessa bravura ruoli drammatici, grotteschi e brillanti. Da Seneca ad Aristofane, da Cechov a Beckett, fino all’adorata Kristof. Attrice, cantante e anche regista.

Ma non dimentica il cinema. In “Bellas mariposas” è una mamma energica che combatte contro il mondo che si dissolve. Ambiente degradato dove lottare per la sopravvivenza è un obbligo. Lo squallore raccontato da Atzeni e fissato in supporto digitale da Mereu, non ha bisogno di altri commenti. Una parte in “Finalmente la felicità” di Pieraccioni. “Anche lui estremamente professionale” spiega Maria. Dei corti deliziosi: “Culurzones” di Giusiani, con la brava Lia Careddu e Carlo Delle Piane, un simbolo del cinema avatiano. Per Peter Marcias gira “Cicatrici”. “Sinuaria” (finalista ai David di Donatello nel 2015) per Roberto Carta. Fino a “ Gli amici di Freddi”, uscito recentemente nelle sale. Fagocitata da una gonna di Kenzo disegnata da Marras, con i piedi tuffati in un paio di scarpe tra il verde e il marron chiaro, come se fossero state dipinte dagli sguardi dei suoi occhi “variabili”, parla continuamente. Non di ieri, ma dell’oggi e del domani. Fra qualche giorno sarà in scena con un amico musicista, di cui non vuol rivelare il nome . Intanto lavora sul “Moby Dick”. Sarà una sorpresa.

Il tempo a disposizione è per la chiacchierata è finito. Le mani da prestidigitatrice accarezzano il Moleskine, lo immergono nella sua borsa formato piscina olimpionica e sparisce. Chi prende appunti, in un tavolino grande quanto una mela, pensa a quello a cui ha sempre pensato: la vera collezione di Tiffany è custodita nel nostro interno. Fuori, esponiamo gioielli meno preziosi.

Venerdì, 23 settembre 2016

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